venerdì 22 settembre 2017

Il fascino pericoloso del ponte

Attraversare un ponte formato da una lunghissima spada: questa la prova più difficile che Lancillotto dovette affrontare per entrare nel regno di Gorre e liberare l'amata regina Ginevra dalle grinfie del perfido Méléagant. Il pericolo era duplice: ferirsi mortalmente con la lama e precipitare nel fiume: “d'acqua traditrice, nera e rumoreggiante, densa e scura orrida e spaventosa come un fiume dell'inferno, tanto pericolosa e profonda che chi vi fosse caduto si sarebbe sicuramente perso”. Questa è la paurosa rappresentazione che Chrétien de Troyes fa dell'unica via di passaggio a disposizione dell'eroe il quale - sprezzante del dolore –si toglie l'armatura e tagliuzzandosi sulla lama passa dall'altra parte, malconcio ma vittorioso. Il poeta francese, vissuto nella seconda metà del XII secolo, quando descrive il “ponte della spada” non parla evidentemente di una costruzione reale ma allude a una metafora: l'eroe può raggiungere il suo scopo solo superando una prova rischiosissima.
Lo stesso tema lo si ritrova nelle tradizioni esoteriche dell'antica Cina dove il viaggio iniziatico verso la conoscenza si compiva attraversando ponti di metallo che alludevano a segrete operazioni alchemiche. La tradizione islamica invece narra di come per giungere al paradiso si debba effettuare lo Sirât, l'attraversamento di un ponte sottile come un capello che solo gli eletti riusciranno a superare laddove i dannati verranno precipitati all'inferno. Ma ci sono ulteriori significati da esaminare: i ponti uniscono Cielo e Terra, il Divino col Mortale come il Bifröst della mitologia scandinava formato da un arcobaleno che arriva fino al mondo degli dei. Costruire un ponte nell'antichità era inoltre considerata una profanazione delle acque, cariche di valenze sacrali, e forse per questo quando i romani si accinsero a realizzare il primo ponte sul divino Tevere - il Sublicio, interamente in legno - lo affidarono al Pontifex Maximus (da cui deriva il nome del Pontefice cristiano) l'unico autorizzato alla sua manutenzione e che ogni anno placava la collera del fiume gettandoci dentro ventisette fantocci di giunchi, probabile ricordo di sacrifici ben più cruenti.
Qualcuno dirà: sono solo vecchie storie. Ma il fascinoso simbolo del ponte compare spesso nei sogni dell'uomo moderno a dimostrazione della sua innegabile vitalità: superare un ostacolo tra due mondi, unire aspetti contrastanti, attraversare un posto pericoloso da cui rischiamo di precipitare. Alcuni periodi della vita sono – come i ponti - passaggi da uno stato all'altro (nascita, infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia e morte) che comportano momenti di crisi e di riadattamento a nuove situazioni, come se ci incamminassimo verso terre inesplorate.
Naturalmente i ponti sono anche opere di architettura e ingegneria, e al giorno d'oggi meravigliose e arditissime costruzioni che sono meta del turismo di massa (a ulteriore dimostrazione che l'immagine del ponte è tuttora capace di emozionare): il Phiton Bridge ad Amsterdam, il pedonale Henderson Waves a Singapore, il Zhivopisny a Mosca, il Tianjin bridge in Cina - l'unico munito di ruota panoramica – e infine il più lungo di tutti, quasi quattro chilometri, l'Akashi Kaikyō in Giappone. Ma non è di questo che qui si vuole parlare, semmai di quelli che affondano la loro tradizione nella storia e in diversi casi nella leggenda.
Possiamo pensare che i primi cacciatori e raccoglitori umani utilizzassero tronchi di legno o liane intrecciate per passare attraverso torrenti o burroni, ma la necessità di costruire più robuste strutture in muratura si fece sentire abbastanza presto se Erodoto racconta che esisteva un ponte in pietra che a Babilonia congiungeva le due rive dell'Eufrate.
Attraversare un grande fiume non doveva essere una questione facile a quei tempi, e infatti quando si doveva portare un esercito da una sponda all'altra si ricorreva ad otri gonfiati d'aria a cui si aggrappavano i soldati, manovra ripresa anche da Alessandro Magno per varcare il Danubio. In Italia dobbiamo i primi ponti agli etruschi, che i romani detestavano al punto da finire per cancellarli dalla faccia della terra, non senza avergli prima copiato la fondamentale invenzione architettonica dell'arco. Nella sua conquista dell'Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente Roma disseminò di strade e ponti tutto l'impero, eseguiti con tale maestria che molti sono tuttora esistenti e in funzione; Giulio Cesare ne volle addirittura edificare uno in legno sul Reno, cosa che gli riuscì in una decina di giorni, e solo per dimostrare ai Germani quanto lui fosse bravo e potente. I barbari impressionati se la diedero a gambe e poco dopo il proconsole fece distruggere il suo capolavoro, mentre storici e archeologi sono ancora lì che si chiedono come abbia fatto a realizzarlo in così poco tempo e su un fiume come il Reno, non proprio un ruscello. E' noto che i romani furono ingegneri eccezionali: riuscirono a costruire il sistema delle fondazioni sott'acqua e con Traiano arrivarono a fabbricare un ponte sul Danubio - oggi purtroppo distrutto - lungo più di un chilometro e dotato di venti arcate.

Nel medioevo la competenza dei costruttori di ponti non venne meno, ma in un'epoca superstiziosa in cui chiese e cattedrali si affollavano di figure mostruose, e i bestiari si popolavano di draghi ed animali fantastici, la messa in opera di questo tipo di manufatto fu attribuita quasi esclusivamente al Demonio, i cui servizi si moltiplicarono spinti da una fortissima domanda. Dal 1000 al 1600 circa sorsero in tutta Europa moltissimi Ponti del Diavolo, tutti associati a leggende praticamente simili: un muratore o un architetto fortemente in ritardo scende a patti col diavolo che gli promette di costruirgli il ponte in una notte, purché gli venga ceduta la prima anima che lo oltrepasserà. Il mattino dopo l'astuto artigiano farà attraversare un animale (di solito una capra o un cane, i gatti son troppo furbi) e il maligno resterà gabbato. Anche qui il ponte allude a una situazione pericolosa che terminerà con la sconfitta del male come agente di divisione (il significato della parola “diavolo” deriva dal verbo greco “dia-bàllein”, che significa “separare, creare fratture”). Molti ponti antichi e moderni sono inoltre associati a storie sinistre: il loro ben visibile stato di luogo di passaggio permetteva di esporre come monito alla popolazione le teste dei giustiziati o di impiccarvi qualche malcapitato: è il caso di ponte Sant'Angelo a Roma o di quello di Teramo, detto in dialetto de “li impisi”. Le esecuzioni sui ponti sono andate avanti fino al giorno d'oggi: nel 1992 quello bosniaco di Višegrad sulla Drina fu il testimone silenzioso di una spietata pulizia etnica e ancor più di recente una presunta spia irachena è stata impiccata dall'Isis al ponte di Fallujah.
Una novità medievale furono costruzioni fiancheggiate da case e botteghe, come il Ponte Vecchio a Firenze dove anticamente il governo cittadino volle collocare il mercato della carne che, tra banchi di lombate, costate, ossa e frattaglie malamente conservate, doveva puzzare un bel po' e quindi essere allontanato dalle sensibili narici dei fiorentini. Ponti di questo tipo sorsero un po' dappertutto, anche perché nelle città circondate da mura lo spazio a disposizione per costruire diventava sempre più scarso man mano che la cittadinanza infittiva. Se in Francia ce n'erano ben trentacinque – tre anche a Parigi, sull'Ile de la cité - il ponte abitato più famoso di tutti fu il London Bridge, edificato tra il 1176 e il 1209 e da non confondersi con l'attuale Tower Bridge, molto più tardo. Munito di ruote idrauliche e cancelli che venivano chiusi durante il coprifuoco, il ponte di Londra arrivò a contenere fino a 200 attività commerciali, numerosi appartamenti e perfino una cappella dedicata al santo e martire Thomas Becket. Anche qui c'era l'abitudine di esibire sulle picche le teste mozzate dei traditori, che venivano bollite e incatramate per proteggerle e prolungare il macabro spettacolo; molti crani famosi dondolarono dal ponte, tra cui quelli del ribelle William Wallace (avete mai visto Braveheart?) e del cancelliere e umanista Thomas More che aveva ostacolato il matrimonio di Enrico VIII con Anna Bolena. Con la modernizzazione ottocentesca il London Bridge, stretto, scomodo e soggetto a crolli e incendi, fu abbattuto e sostituito, cosa che giovò al traffico ma fece perdere la testimonianza indimenticabile d'un pezzo di storia inglese.


Sporgersi dalla spalletta di un ponte e guardare sotto può essere uno spettacolo emozionante: è quello che succede quando ci si affaccia dal ponte di Ronda, vicino a Malaga, che unisce la città vecchia a quella nuova, passando su una gola profonda fino a 120 metri, detta “El Tajo”, causata dall'erosione del fiume Guadalevin. Se si vuole invece intraprendere una traversata alla Indiana Jones occorre andare in oriente dove esistono ponti sospesi fatti di bambù o di instabili e tarlate assi di legno come quello lunghissimo di Hussaini, in Pakistan, retto solo da corde e considerato il più pericoloso del mondo. 
Il più alto invece si trova in Cina sulla Huangshan (letteralmente Montagna gialla), una serie di picchi famosi per le bellezze paesaggistiche, la stranezza delle formazioni rocciose, e gli straordinari giochi di luce dovuti alla presenza di nubi che spesso circondano le vette. Il ponte, detto “degli immortali” è a ottocento metri di altezza e congiunge due speroni di roccia: il luogo, che fa parte di un percorso turistico mozzafiato, quando sale la bruma assume un aspetto fiabesco e misterioso,facendo dimenticare che la costruzione è del secolo scorso anche se falsificata con un parapetto in stile cinese antico.

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