In
un'epoca che ha istituito il Natale come grande festa del consumo e
della gioia forzata e obbligatoria potrebbe sembrare brutto
raccontare di come nell'antichità fosse percepita la nascita di
Gesù, che era solo raramente associata all'innocenza infantile e
alle gioie della maternità, mentre il piccolo spesso non era né
bello, né paffuto e – diciamolo pure – un po' zuccheroso come lo
si pensa oggi.
Cominciando
dall'inizio, tra il III e IV secolo alcuni concili ecclesiastici si
occuparono della Madonna per definirne dogmaticamente la natura,
innanzitutto come genitrice di Cristo - in greco Theotokos (Madre di
Dio) - poi nel suo stato di verginità perpetua col concilio di
Costantinopoli. Nello stesso periodo comparvero le prime immagini di
Maria col Bimbo in braccio – la più antica nelle catacombe di
Priscilla a Roma – che rimarranno un topos dell'arte sacra assieme
ad altre caratteristiche raffigurazioni dell'infanzia divina: la
nascita, la circoncisione, la presentazione al Tempio di Gerusalemme,
l'adorazione dei Magi, la fuga in Egitto e poi – con un Gesù più
grandicello – la disputa coi dottori. Nei primi periodi del
cristianesimo e durante l'alto Medioevo nell'arte sacra si
rappresentò una Vergine stilizzata di impronta bizantina mentre
regge un infante decisamente bruttino, con tratti da adulto e a volte
perfino stempiato.
Questo piccolo Gesù serioso era in realtà
percepito non come un infante ma come Dio e Signore e quindi nel
pieno del suo dominio e della consapevolezza della sua regalità,
anche per questo frequentemente vestito di porpora e d'oro, i tessuti
indossati dall'imperatore. Ancora della serie “Cristo
bambino-adulto” è l'immagine dell'Anapesòn - che si è diffusa
solamente in area bizantina - un vero e proprio fanciullone sdraiato
a terra e apparentemente addormentato, sorvegliato da due angeli o
accudito da Maria. La raffigurazione si ispira alla “Profezia di
Giacobbe” della Genesi, in cui si parla del leone di Giuda che pur
dormendo veglia, figura che anticipa la venuta di Cristo e la sua
vittoria.
Nella
primitiva arte cristiana i gesti delle mani della Madre e del Figlio
avevano un loro preciso significato che a noi ormai sfugge. Ha
pensato a studiarli Chiara Frugoni, la nota medievista che ci ha
scritto un libro sopra: “La voce delle immagini. Pillole
iconografiche del Medioevo”. La studiosa parte da un'affermazione
di Sant'Ambrogio che dichiara come la manifestazione plateale del
dolore sia roba da pagani, mentre un vero cristiano deve sopportare
la sua pena e financo la morte con dignità e sobrietà. Le
indicazioni del vescovo di Milano influenzarono le arti visive dove
si pensò di ricorrere solo a movimenti delle dita per indicare cosa
stava succedendo: tanto per fare un esempio il noto segno della
benedizione eseguito da Gesù – due dita alzate, pollice anulare e
mignolo piegati sul palmo – voleva dire che stava parlando, e non
certamente con i deliziosi e incomprensibili “maaa baaa ngaaa” di
un neonato, ma spiegando piuttosto i sacri e misteriosi contenuti del
Verbo.
Con
l'avanzare del Medioevo il Cristo bambino e trionfante degli antichi
fu sempre di più associato alla sua terribile morte: valga per tutti
la Natività dello scultore Lorenzo Maitani che nei suoi bassorilievi
sulla facciata del Duomo di Orvieto immagina un Gesù che invece che
di giacere in una greppia è adagiato dentro un sarcofago; l'idea
della lastra tombale è stata ripresa nel Rinascimento da altri
artisti come Giovanni Bellini, che non poche volte fa allungare il
tenero corpicino su un piano di marmo gelido. Il colore rosso che
spesso compare in queste rappresentazioni è un ulteriore filo
conduttore che lega la Madonna al martirio del Figlio: si può
trattare dei petali di un garofano, di alcune ciliegie o di un
grappolo d'uva che per il suo succo scuro allude al sangue che sarà
versato. In altri casi un rametto di corallo è appeso al collo del
neonato, secondo un'usanza molto diffusa nell'antichità: il grazioso
ciondolo aveva la valenza di un amuleto porta fortuna perché gli
antichi erano convinti che scacciasse i fulmini, rendesse le donne
fertili e in generale tenesse lontano le disgrazie. Anche animali
come il cardellino e il pettirosso furono accostati al piccolo
Salvatore: nel Medioevo era usanza regalare ai bambini un uccelletto
con cui giocare legandogli una zampetta con un cordoncino. A causa
dei loro colori le due bestiole furono considerate anche allusive
alla passione; una leggenda antica raccontava come un pettirosso, in
origine grigio, si fosse commosso nel vedere Cristo coronato di spine
e avesse cercato di toglierne una sporcandosi il piumaggio di sangue:
la macchia sarebbe diventata per miracolo un segno indelebile per
ricordare a tutti gli uomini la sua generosità.
E'
proprio durante il periodo gotico che il rapporto affettivo Madre e
Figlio si colorò di connotazioni drammatiche, mentre le espressioni
si fecero pensose e malinconiche. Il pittore senese Ambrogio
Lorenzetti dipinse una Madonna con un manto molto scuro e un
bambinone biondo con gli occhi spalancati e impauriti che quasi
stritola l'ala di un cardellino; una vera e propria manifestazione di
terrore si dipinge ancora sul volto del piccolo Gesù in un affresco
dello stesso artista nella chiesa di Sant'Agostino a Siena. Oltre ai
tristi presentimenti si inserirono però anche note intime e
affettuose, e si devono ancora una volta al Lorenzetti alcune delle
opere in cui ciò che era considerato sacro e distante venne
ricondotto a una vibrante e intensa relazione umana. Di questo genere
furono le molteplici “Madonne del latte”, effigi realistiche di
una mamma che nutre il suo piccino, iconografia che risale all'antico
Egitto dove Iside era spesso rappresentata con il neonato Horus
attaccato al seno. Il tema ebbe successo e si diffuse in tutta Europa
anche perché si riteneva che l'immagine avesse una valenza
taumaturgica e proteggesse le puerpere e i loro bambini; mentre si
moltiplicavano le reliquie del “Sacro latte” - ce ne sono
parecchie anche oggi, anche se la Chiesa cerca di non farne troppa
pubblicità - il soggetto fu affrontato da maestri come Leonardo,
Raffaello, Michelangelo, e in Francia da Jean Fouquet, che nel
dittico di Melun volle rappresentare una elegantissima, sensuale e
formosa Madonna col seno scoperto, probabile ritratto di Agnès
Sorel, amante del re Carlo VII.
La figura della Madre di Dio col
Bimbo che poppa si prestava però ad equivoci, ed è proprio per
questo motivo che nel XVI secolo il Concilio di Trento la considerò
sconveniente e cercò di proibirne o almeno limitarne la
riproduzione.
Si
deve al Rinascimento lo studio anatomico dei corpi umani e
l'invenzione della prospettiva, che portò a una arte meno stilizzata
e più realistica di quella medievale: Vergine e Figlio furono
realizzati con maggior attenzione al naturalismo e a volte perfino
senza l'aureola. Raffaello in particolare – pur nella sua breve
vita - realizzò una vasta produzione di Madonne che erano vere
bellezze dai lineamenti classici e dall'espressione dolcissima,
accompagnate da un grosso neonato pasciuto e spesso nudo ma sempre
con un fare da adulto, a volte dotato d'un libro, a volte col
cardellino o spesso in compagnia di un San Giovannino che gli porge
la croce della passione. Accanto
alle arti figurative per l'iconografia della nascita e della passione
non fu certo secondario il ruolo delle sacre rappresentazioni, drammi
liturgici che si diffusero dal Mille fino al XVIII secolo con la
partecipazione di attori veri mescolati a sculture lignee per i
personaggi principali. Queste bambole – spesso dei reliquiari –
erano anche oggetto di devozione popolare, finirono per spargersi per
tutta Europa e dettero il via, assieme al famoso presepe francescano
di Greccio, a ulteriori installazioni presepiali che sono culminate
nella fastosità di quello napoletano.
Intanto
a fianco della grande arte comparve una
ricca produzione devozionale destinata principalmente alle giovani
monache dei conventi. E' noto che in antico – basta pensare alla
vicenda della monaca di Monza narrata dal Manzoni – per non
compromettere il patrimonio familiare con doti costose, le figlie
minori erano forzatamente avviate al convento. La soluzione riempiva
questi luoghi di giovani donne scontente che sentivano il desiderio
di una vita normale e che erano spesso turbate dalla semplice visione
del bel corpo nudo di Cristo crocifisso. Fu quindi per cause morali
che nacque “l'arte per le monache” dove i Gesù adulti furono
sostituiti dai cosiddetti “Bambini della passione” ossia bambole
in legno o terracotta dal viso addolorato e alle prese con croce,
chiodi, corone di spine. Queste piccole sculture erano realizzate in
totale nudità, e in seguito vestite con indumenti preziosi e
intercambiabili a seconda delle festività liturgiche. Una variante
del genere conventuale è costituita dai dipinti in cui il piccolo è
addormentato sulla croce o si appoggia a un teschio, motivo collegato
al tema del “memento mori” (frase che letteralmente significa
“ricordati che devi morire”) molto diffuso durante la
Controriforma.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRKkNJ3nJATkl25BkAKsrVP93eDk5PvKzy6dnBvcmZ2AJDh4jrrtPmLMASA4XuzhqqJMi7qxzyVf5v-An9uPXQGNeTWSNYR5b-uc01G53CjjFuePac13akxpLCy-ExXnrAQKkESJvxS6c/s320/Santino.jpg)
Fonti:
Chiara
Frugoni, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo
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