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Gli
ebrei nella Russia di fine Ottocento ammontavano ad oltre 5 milioni
di persone; nonostante ciò erano soggetti a limitazioni e perfino
persecuzioni, i pogrom, che turbarono anche l'infanzia di Chagall,
che aveva appena visto la luce quando il villaggio fu devastato dai
cosacchi, costringendo la madre alla fuga mentre era ancora
affaticata dal parto (riferendosi a quell'episodio il pittore avrebbe
detto più tardi:”Io sono nato morto”). La piccola comunità
tuttavia si riservava anche momenti di gioia, feste e ritualità tra
sacro e profano che lasciarono un traccia profonda nell'opera
dell'artista, che si portò sempre dietro il ricordo del suo paese
natale tratteggiandolo in figure simboliche ricorrenti: oltre alle
case e ai tetti, la mucca, una metafora del nutrimento e della
fertilità, il gallo, annunciatore della luce del giorno, l'albero,
l'aringa - che gli ricordava il lavoro del padre – i candelieri,
collegati alle feste ebraiche dello Shabbat o di Hannukka, la
finestra aperta e il cavallo, ossia il bisogno di libertà,
l'orologio a pendolo, simbolo del tempo che passa. Ma soprattutto il
violinista - che a Vitesbk accompagnava momenti cruciali della vita
come la nascita, il matrimonio, la morte, un personaggio errante come
sarebbe stato l'artista durante quasi tutta la sua esistenza. Il
tutto utilizzando dimensioni arbitrarie e in assenza di prospettiva,
ignorando spazio e tempo, in un mescolarsi delle cose, delle
persone, degli animali e delle piante.
Marc
Chagall – che in realtà si chiamava Moishe Segal – iniziò molto
precocemente a mostrare interesse per l'arte figurativa, in
contraddizione con i precetti dell'Antico Testamento che vietavano
l'uso di immagini. Dapprima contrariati e sconcertati, alla fine i
familiari dovettero cedere e permisero al ragazzo di frequentare una
locale scuola di pittura, per spedirlo poi appena ventenne a San
Pietroburgo dove si iscrisse all'Accademia di Belle Arti. Non fu un
periodo facile: per soggiornare in città gli ebrei dovevano ottenere
un permesso speciale, senza contare il divieto di circolare alla sera
che lui infranse prendendosi un mucchio di botte e due settimane di
galera; in compenso la città era piena di stimoli culturali e di
grandi personalità, tra cui Léon Bakst, uno scenografo e costumista
che si era accostato al simbolismo ed ebbe una notevole influenza
sugli artisti contemporanei. L'universo iconografico di Chagall si
sviluppò proprio in questi anni, anche se si accorse ben presto che
la Russia gli stava stretta: se Bakst aveva studiato a Parigi fu lì
che nel 1910 il giovane decise di andare per approfondire la sua
conoscenza dei grandi movimenti dell'avanguardia europea come
Fauvismo, Espressionismo, Cubismo, Astrattismo, Dada, Surrealismo.
Sulle rive della Senna si respirava un'aria di libertà che il
piccolo ebreo non si era mai sognato di annusare in patria, ma
nonostante la ricchezza dei fermenti culturali con cui venne a
contatto, non ne rimase influenzato che superficialmente, dal momento
che continuò imperterrito a dipingere scene della vita di Vitebsk e
storie della tradizione chassidica.
Se
il suo cuore era rimasto sulle rive del fiume Moscova c'era un altro
motivo. Prima di partire aveva infatti conosciuto Bella Rosenfeld,
studentessa di lettere prima, scrittrice poi, ma soprattutto in
perfetta sintonia con le idee di Chagall che di lei avrebbe
detto:”Bella scriveva come viveva, come amava, come accoglieva gli
amici. Le sue parole, le sue frasi, sono una patina di colore sulla
tela”. Fu amore a prima vista, coronato dal matrimonio nel 1915, al
ritorno da Parigi, nonostante i genitori di lei - agiati commercianti
di gioielli – non fossero d'accordo; finché Bella visse fu la sua
musa e ispiratrice e la protagonista di quadri famosi in cui spesso
una coppia di innamorati si abbraccia librandosi e fluttuando sopra i
tetti della città, attirati dalle nuvole e dal blu profondo del
cielo (il famoso blu Chagall). La coppia sarebbe dovuta ripartire per
la Francia, ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la
rivoluzione che portò al rovesciamento dell'impero zarista
cambiarono il corso delle cose. Dapprima l'artista aderì con
entusiasmo al comunismo, che riconosceva agli ebrei pari diritti di
cittadinanza; fu nominato dal ministro
sovietico della Cultura Commissario dell'arte nella regione di
Vitebsk, ma iniziò ben presto a scontrarsi coi principi propugnati
dal nuovo regime che, per ragioni politiche e propagandistiche,
preferiva un robusto realismo più adatto allo scopo di rieducare le
masse alle nuove idee: nella sua biografia infatti Chagall ricorda di
essersi sentito apertamente chiedere cosa avevano a che vedere con
Marx ed Engels le sue mucche verdi e i cavalli volanti, domanda che
nessun parigino si sarebbe mai sognato di fargli. Sopportò per
qualche anno quella situazione poi se ne ritornò in Francia con la
moglie e la bambina che era nata nel frattempo.
Aveva
maturato l'idea di essere un eterno errabondo e lo lasciò scritto:
“Mia soltanto è la patria della mia anima. Vi posso entrare senza
passaporto e mi sento a casa; essa vede la mia tristezza e la mia
solitudine ma non vi sono case: furono distrutte durante la mia
infanzia, i loro inquilini volano nell'aria in cerca di una casa,
vivono nella mia anima”.
La
sua vita non doveva ancora avere pace. In Francia aveva ritrovato
l'universo figurativo giovanile che aveva arricchito aggiungendo ai
suoi quadri le icone della Torre Eiffel e della facciata di
Notre-Dame, aveva ottenuto la cittadinanza e approfittato della
libertà per viaggiare: in Spagna, in Olanda, in Italia, in Gran
Bretagna, ma anche in Palestina, dove aveva dipinto il Muro del
pianto. Era ormai famoso e quotato e si era lasciato alle spalle la
povertà, ma nuove e gravi preoccupazioni sopraggiunsero con l'ascesa
del nazismo che, oltre all'odio per gli ebrei, propugnava un'arte che
rifiutava le “degenerazioni” delle avanguardie e voleva esaltare
l'eroismo della razza ariana. Tra i pittori bollati c'era
naturalmente Chagall, i cui quadri furono bruciati in Germania
assieme a quelli di artisti come Klee, Kandinskij. Otto Dix, George
Grosz e alle opere di Freud; in risposta l'artista dipinse “La
crocifissione bianca” in cui vengono accomunate le sofferenze di
Cristo, innocente e condannato in maniera ingiusta, e quelle del
popolo ebraico, anch'esso vittima incolpevole.
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Avrebbe
avuto altre due donne: Virginia Haggart McNeill, da cui ebbe un
figlio, ma con cui non riuscì a ritrovare le affinità che aveva con
la prima moglie e, al ritorno in Francia, Valentine Brodskij, detta
“Vava”, russa ed ebrea come lui, che sarebbe diventata la
compagna della sua vecchiaia. Alla fine della guerra la coppia si era
stabilita a Saint-Paul-de-Vence in Costa azzurra. Qui Valentine lo
incoraggiò ad affrontare anche il disegno di vetrate di cui produsse
una serie, tra cui le più importanti sono quelle per la cattedrale
di Notre-Dame a Reims, per quella di Metz, per la sede delle Nazioni
Unite e la Sinagoga di Gerusalemme. In queste opere il pittore
completò un suo personale viaggio all'interno della Bibbia, in cui
ripescava i grandi temi dell'Antico Testamento che ben conosceva e
che troveranno in seguito un ulteriore spazio espositivo nel Musée
National Message Biblique di Nizza, realizzato mentre l'artista era
ancora in vita.
La notevolissima produzione di Chagall ormai spaziava
in ogni campo: oltre che alla pittura e al vetro, si dedicò
all'incisione, al mosaico, all'arazzo, all'affresco, alla ceramica e
perfino alla scultura. Rimase sempre un originale: non aveva fondato
scuole né aveva seguaci e lavorava in modo accanito, completamente
nudo, perché non gli interessavano minimamente la moda e i vestiti.
Si comportò così fino al giorno prima della sua morte, a 97 anni.
Volle farsi seppellire nel cimitero cristiano della cittadina in
contrasto col rabbino della sua comunità forse per rimarcare – lui
che era sempre stato un apolide – il sogno di un'umanità unita e
compassionevole al di là delle differenze di razza e religione.
Fonti:
Federica
Tammarazio: Chagall, la vita e l'arte. Rizzoli, Skira
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