martedì 19 settembre 2017

Gustav Klimt, tra oro e voluttà

Non si può certo dire che la famiglia di Gustav Klimt respirasse il clima dorato della “Felix Austria”, termine con cui prima della Guerra del 1915-18 veniva soprannominata la nazione al centro dell’impero austro-ungarico. Secondo dei sette figli di un orafo e incisore viennese che faceva fatica a sbarcare il lunario, Gustav aveva ricevuto come unica eredità il dono di una mano felicissima che gli aveva consentito di entrare con lode nella Scuola d’arte e mestieri, dove le materie insegnate avevano al centro lo studio dei maestri della classicità, ma anche e soprattutto le tecniche dell’affresco, della ceramica, del mosaico e della lavorazione del metallo di cui si appropriò con grande facilità. L’atmosfera di Vienna non era certo favorevole a una mente innovativa: dopo il 1870 la città aveva avuto un’espansione urbanistica fulminea che aveva portato alla costruzione di viali e palazzi monumentali, edifici pubblici e centri dedicati alla cultura, il tutto però in uno stile formale e ostile alle invenzioni della moderna tecnologia la cui impronta era inevitabilmente data da Francesco Giuseppe: fanatico dell’ordine e della conservazione, l’imperatore detestava l’automobile, il treno, il telefono, il gas e l’elettricità - opponendosi con tutte le sue forze a queste diavolerie moderne - ma garantendo in compenso al suo popolo la sicurezza e un tranquillizzante legame con il passato, perfettamente in sintonia con lo spirito borghese dei suoi sudditi.
Il giovane Klimt iniziò la sua carriera abbracciando con alcuni amici la pittura storica di moda in Austria: il gruppo ebbe così alcune commissioni prestigiose per il Burgtheater (teatro di corte) e il Kunsthistoriches Museum, dove le figure allegoriche che si rifacevano al rinascimento italiano soddisfecero pienamente le aspettative poco fantasiose del pubblico viennese. Il feeling tra lui e i suoi committenti fu però di breve durata perché da Parigi stava tirando un’aria nuova, che si esprimeva attraverso le sinuose curve dell'Art Nouveau e la poetica del Decadentismo: in opposizione al mito positivista dell’oggettività a tutti i costi e della scienza sperimentale come unica verità, esso percepiva la realtà come sfuggente, ambigua e misteriosa, in preda all’inquietudine dell’ignoto, mentre parallelamente Sigmund Freud – pubblicava i suoi Studi sull’isteria e “L’interpretazione dei sogni”. L’arte europea si andava così riempiendo di figure simboliche enigmatiche e conturbanti (sfingi, antiche divinità, immagini di morte e di sogno, donne dall’abbraccio letale) che spesso e volentieri traducevano in forma visibile le fantasie e le ossessioni erotiche dell’uomo contemporaneo. Il nuovo stile fu una folgorazione per Gustav Klimt, che in seguito avrebbe affermato:”Tutta l’arte è erotica” e che avrebbe lasciato una produzione vastissima di disegni di nudi femminili in pose decisamente esplicite. Fu lui l’anima principale del movimento della “Secessione viennese”, un gruppo di 19 artisti - tra pittori, grafici e architetti – che nel 1897 si staccarono dall’Accademia di Belle Arti per inventarsi una creatività non commerciale e quindi non banale, che trasmettesse una diversa e più profonda visione del mondo e che fece inevitabilmente gridare allo scandalo, appiccicando al pittore la fama di eretico, pornografo e ribelle.

Sembra che nelle nuove scelte stilistiche c’entrasse anche la complicata vita sentimentale di Gustav, che amava le donne e frequentava un notevole numero di amanti, ma rifiutò sempre di sposarsi. Nella pettegola Vienna si sussurrava che avesse almeno una dozzina di figli illegittimi e ci si scandalizzava perché nel suo studio circolavano parecchie modelle completamente svestite i cui movimenti gli erano d’ispirazione, mentre era noto che molte signore-bene si sarebbero concesse anche gratis pur di avere un ritratto da lui. La figura femminile fu al centro di tutta la sua arte, ma se si parla delle sue relazioni amorose il condizionale è d’obbligo. Era un uomo estremamente schivo e riservato che, anche dopo aver conseguito successo e ricchezza, continuò a vivere in maniera modesta e appartata standosene lontano dalle feste e dalla vita pubblica e lavorando molte ore al giorno con poche interruzioni. Sembra che fosse timido e ipocondriaco e nonostante abbia dovuto compiere qualche viaggio di studio all’estero, detestasse uscire dall’Austria e soprattutto usare il treno perché non era capace di orientarsi nelle stazioni e quasi si perse in quella di Firenze. 
Forse solo due amiche gli stettero particolarmente a cuore: Adele Bloch-Bauer, una signora della Vienna-bene ritratta più volte dall’artista, e soprattutto Emilie Flöge, una donna d’affari colta, raffinata e di successo, che si occupava della creazione di capi di moda che aderivano allo spirito della Secessione, e con cui pare ci fosse solo una relazione affettiva molto intensa ma platonica.
Lo stile per cui l’arte di Klimt è universalmente noto riecheggia i lavori di oreficeria del padre e l’ammirazione per i mosaici bizantini di Ravenna che vide personalmente e che lo colpirono molto: l’uso dell’oro puro in foglia, dell'argento o della carta dorata, e in taluni casi di smalti e pietre dure gli permetteva di rappresentare una realtà trasfigurata dove gli unici elementi naturalistici sono i volti, le mani e i piedi dei personaggi, mentre il resto dell'immagine è appiattito sul fondo da elementi decorativi spiraliformi, circolari, rettangolari. Il pittore non era tuttavia interessato tanto a un'idea di trascendenza spirituale quando a perseguire un elegante estetismo perfettamente in sintonia con l'Art Nouveau. Questa tecnica era particolarmente adatta alla rappresentazione di soggetti allegorici che avevano quasi sempre al centro la donna, vista come una creatura sensuale, appassionata, tenera, materna, minacciosa. Era interessato al binomio Amore e morte (Eros e Thanatos) ma non vedeva nel femminile solo il lato oscuro e divorante riconoscendone invece la superiorità nella creazione della vita e della bellezza.

La società viennese tuttavia non era dello stesso parere. Alla fine del XIX secolo Klimt era già sulla bocca di tutti per lo scandalo che suscitavano lavori come “Pesci d'oro”, un'associazione tra donna e acqua che fu accusata di oscenità a causa del carnoso sedere della figura in primo piano. L'apoteosi delle critiche fu tuttavia toccata dal “Fregio di Beethoven”, allestito per la XIV esposizione della Secessione, e in cui l'artista – senza cambiare né rotta né stile - volle rappresentare un tema caro al gruppo, la salvezza dell'umanità attraverso l'arte, includendovi numerose scene di nudo. Al centro degli attacchi fu soprattutto la parete con il tema delle forze ostili, dove un mostro in forma di gorilla è attorniato da alcune figure femminili di una magrezza scarnificata fiancheggiate da un opulento donnone dall'aria ambigua: “Una rappresentazione buona per una stanza da bagno femminile a Ninive” commentò la stampa, in un'epoca in cui l'antica Mesopotamia pareva il brodo di coltura di tutti i vizi. La sensualità dell'opera di Klimt lo escluse da moltissime commissioni pubbliche amareggiandolo. Cominciò a lamentarsi della sua mancanza di libertà e dell'ottusità dei burocrati che invadevano le scuole d'arte, della cecità del Ministero della cultura che si arrogava il diritto di decidere sui criteri espositivi e sulla qualità dei lavori e soprattutto - lui che era l'artista più rappresentativo della modernità austriaca – della vergognosa esclusione dal ruolo prestigioso di professore all'Accademia di Belle Arti. Si consolò con molte commissioni private - ritratti soprattutto – mentre l'unica opera che gli fu acquistata dallo Stato austriaco fu il famosissimo “Bacio” forse perché le sole parti scoperte dei due corpi teneramente allacciati su un prato fiorito erano il viso e i piedi nudi di lei. Appartengono allo “stile aureo” altre opere famose, come due figure di Giuditta, “Le tre età della vita”, “Danae” e “L'albero della vita” che fa parte di un vasto progetto decorativo per palazzo Stoclet a Bruxelles.

Attorno al 1910 la Belle Epoque stava languendo e con essa mutavano le tendenze artistiche che viravano ormai verso l'espressionismo. Klimt – che andava verso i cinquant'anni - venne a contatto con le opere di Van Gogh, Matisse, Toulouse-Lautrec, entrò in crisi e decise di rimettersi in discussione, abbandonando l'oro e abbracciando sempre più il ritratto e il paesaggio, alla ricerca di una modalità espressiva più spontanea, fatta di tonalità intense che risentono dell'influenza di Claude Monet. Non fece in tempo a maturare la nuova maniera: la sua carriera artistica si concluse nel 1918, a seguito di un attacco di cuore, nello stesso anno in cui cadeva definitivamente l'Impero Austro-Ungarico il cui rigido spirito conservatore aveva tenacemente combattuto.

Fonti:
Johannes Dobai, Federica Armiraglio, Klimt, RCS quotidiani

Nessun commento:

Posta un commento