Non
si può certo dire che la famiglia di Gustav Klimt respirasse il
clima dorato della “Felix Austria”, termine con cui prima della
Guerra del 1915-18 veniva soprannominata la nazione al centro
dell’impero austro-ungarico. Secondo dei sette figli di un orafo e
incisore viennese che faceva fatica a sbarcare il lunario, Gustav
aveva ricevuto come unica eredità il dono di una mano felicissima
che gli aveva consentito di entrare con lode nella Scuola d’arte e
mestieri, dove le materie insegnate avevano al centro lo studio dei
maestri della classicità, ma anche e soprattutto le tecniche
dell’affresco, della ceramica, del mosaico e della lavorazione del
metallo di cui si appropriò con grande facilità. L’atmosfera di
Vienna non era certo favorevole a una mente innovativa: dopo il 1870
la città aveva avuto un’espansione urbanistica fulminea che aveva
portato alla costruzione di viali e palazzi monumentali, edifici
pubblici e centri dedicati alla cultura, il tutto però in uno stile
formale e ostile alle invenzioni della moderna tecnologia la cui
impronta era inevitabilmente data da Francesco Giuseppe: fanatico
dell’ordine e della conservazione, l’imperatore detestava
l’automobile, il treno, il telefono, il gas e l’elettricità -
opponendosi con tutte le sue forze a queste diavolerie moderne - ma
garantendo in compenso al suo popolo la sicurezza e un
tranquillizzante legame con il passato, perfettamente in sintonia con
lo spirito borghese dei suoi sudditi.
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Sembra
che nelle nuove scelte stilistiche c’entrasse anche la complicata
vita sentimentale di Gustav, che amava le donne e frequentava un
notevole numero di amanti, ma rifiutò sempre di sposarsi. Nella
pettegola Vienna si sussurrava che avesse almeno una dozzina di figli
illegittimi e ci si scandalizzava perché nel suo studio circolavano
parecchie modelle completamente svestite i cui movimenti gli erano
d’ispirazione, mentre era noto che molte signore-bene si sarebbero
concesse anche gratis pur di avere un ritratto da lui. La figura
femminile fu al centro di tutta la sua arte, ma se si parla delle sue
relazioni amorose il condizionale è d’obbligo. Era un uomo
estremamente schivo e riservato che, anche dopo aver conseguito
successo e ricchezza, continuò a vivere in maniera modesta e
appartata standosene lontano dalle feste e dalla vita pubblica e
lavorando molte ore al giorno con poche interruzioni. Sembra che
fosse timido e ipocondriaco e nonostante abbia dovuto compiere
qualche viaggio di studio all’estero, detestasse uscire
dall’Austria e soprattutto usare il treno perché non era capace di
orientarsi nelle stazioni e quasi si perse in quella di Firenze.
Forse solo due amiche gli stettero particolarmente a cuore: Adele
Bloch-Bauer, una signora della Vienna-bene ritratta più volte
dall’artista, e soprattutto Emilie Flöge, una donna d’affari
colta, raffinata e di successo, che si occupava della creazione di
capi di moda che aderivano allo spirito della Secessione, e con cui
pare ci fosse solo una relazione affettiva molto intensa ma
platonica.
Lo
stile per cui l’arte di Klimt è universalmente noto riecheggia i
lavori di oreficeria del padre e l’ammirazione per i mosaici
bizantini di Ravenna che vide personalmente e che lo colpirono molto:
l’uso dell’oro puro in foglia, dell'argento o della carta dorata,
e in taluni casi di smalti e pietre dure gli permetteva di
rappresentare una realtà trasfigurata dove gli unici elementi
naturalistici sono i volti, le mani e i piedi dei personaggi, mentre
il resto dell'immagine è appiattito sul fondo da elementi decorativi
spiraliformi, circolari, rettangolari. Il
pittore non era tuttavia interessato tanto a un'idea di trascendenza
spirituale quando a
perseguire un elegante estetismo perfettamente in sintonia con l'Art
Nouveau. Questa tecnica era particolarmente adatta alla
rappresentazione di soggetti allegorici che avevano quasi sempre al
centro la donna, vista come una creatura sensuale, appassionata,
tenera, materna, minacciosa. Era interessato al binomio Amore e
morte (Eros e Thanatos) ma non vedeva nel femminile solo il lato
oscuro e divorante riconoscendone invece la superiorità nella
creazione della vita e della bellezza.
La
società viennese tuttavia non era dello stesso parere. Alla fine del
XIX secolo Klimt era già sulla bocca di tutti per lo scandalo che
suscitavano lavori come “Pesci d'oro”, un'associazione tra donna
e acqua che fu accusata di oscenità a causa del carnoso sedere della
figura in primo piano. L'apoteosi delle critiche fu tuttavia toccata
dal “Fregio di Beethoven”, allestito per la XIV esposizione della
Secessione, e in cui l'artista – senza cambiare né rotta né stile
- volle rappresentare un tema caro al gruppo, la salvezza
dell'umanità attraverso l'arte, includendovi numerose scene di nudo.
Al centro degli attacchi fu soprattutto la parete con il tema delle
forze ostili, dove un mostro in forma di gorilla è attorniato da
alcune figure femminili di una magrezza scarnificata fiancheggiate da
un opulento donnone dall'aria ambigua: “Una rappresentazione buona
per una stanza da bagno femminile a Ninive” commentò la stampa, in
un'epoca in cui l'antica Mesopotamia pareva il brodo di coltura di
tutti i vizi. La sensualità dell'opera di Klimt lo escluse da
moltissime commissioni pubbliche amareggiandolo. Cominciò a
lamentarsi della sua mancanza di libertà e dell'ottusità dei
burocrati che invadevano le scuole d'arte, della cecità del
Ministero della cultura che si arrogava il diritto di decidere sui
criteri espositivi e sulla qualità dei lavori e soprattutto - lui
che era l'artista più rappresentativo della modernità austriaca –
della vergognosa esclusione dal ruolo prestigioso di professore
all'Accademia di Belle Arti. Si consolò con molte commissioni
private - ritratti soprattutto – mentre l'unica opera che gli fu
acquistata dallo Stato austriaco fu il famosissimo “Bacio” forse
perché le sole parti scoperte dei due corpi teneramente allacciati
su un prato fiorito erano il viso e i piedi nudi di lei. Appartengono
allo “stile aureo” altre opere famose, come due figure di
Giuditta, “Le tre età della vita”, “Danae” e “L'albero
della vita” che fa parte di un vasto progetto decorativo per
palazzo Stoclet a Bruxelles.
Attorno
al 1910 la Belle Epoque stava languendo e con essa mutavano le
tendenze artistiche che viravano ormai verso l'espressionismo. Klimt
– che andava verso i cinquant'anni - venne a contatto con le opere
di Van Gogh, Matisse, Toulouse-Lautrec, entrò in crisi e decise di
rimettersi in discussione, abbandonando l'oro e abbracciando sempre
più il ritratto e il paesaggio, alla ricerca di una modalità
espressiva più spontanea, fatta di tonalità intense che risentono
dell'influenza di Claude Monet. Non fece in tempo a maturare la nuova
maniera: la sua carriera artistica si concluse nel 1918, a seguito di
un attacco di cuore, nello stesso anno in cui cadeva definitivamente
l'Impero Austro-Ungarico il cui rigido spirito conservatore aveva
tenacemente combattuto.
Fonti:
Johannes
Dobai, Federica Armiraglio, Klimt, RCS quotidiani
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