venerdì 3 novembre 2017

Le metamorfosi di San Sebastiano: da martire di culto a culto gay

In principio era Apollo: nella mitologia greca questo divinità nota per la sua splendente bellezza androgina, era accostata al sole, alla divinazione e alle arti, comprese quelle mediche. Essendo padre del dio della medicina Asclepio (a Roma Esculapio) lo si invocava per proteggersi dalle malattie e tra i suoi epiteti c’erano “latros” – guaritore – e “apotropaeos”, che tiene lontano il male; Apollo poteva però anche causare terribili malattie come raccontato nell’Iliade, dove si narra della pestilenza con cui aveva punito gli Achei dopo che Agamennone aveva rifiutato di restituire al padre (sacerdote del dio) la figlia Criseide. Tra i suoi attributi c’erano l’arco, le frecce portentose e la cetra, mentre tra i vari animali a lui sacri il cigno, il lupo, le cicale, i delfini e il gallo, simbolo dell’amore omosessuale praticato in Grecia. Era pure chiamato Sminteo, ossia distruttore di topi, che hanno sempre convissuto con l’uomo e nella cui pelliccia si annidano parassiti e agenti patogeni letali.
Con la fine del paganesimo, definitivamente dichiarato fuorilegge con gli editti dell’imperatore Teodosio I (391-392), venne inevitabilmente a cadere l’idea di una figura protettrice della salute; naturalmente ci si poteva appellare alla Vergine Maria ma – potenza delle immagini simboliche – in un’epoca in cui l’aspettativa di vita era molto bassa, gli intermediari celesti tra uomo e Dio non erano mai abbastanza. Con la vittoria del cristianesimo si avviò il culto dei santi e dei martiri tra cui furono inseriti molti guaritori, da quelli generici come i fratelli Cosma e Damiano, che esercitavano la medicina senza farsi pagare, a quelli specializzati come Sant’Agata contro le mastiti e i tumori alle mammelle (che le erano state strappate) a molti altri come Sant’Antonio abate (infallibile per guarire l’herpes zoster), San Bartolomeo apostolo che – dal momento che era stato scuoiato vivo – si invocava per i problemi dermatologici e così via. Tra questi taumaturghi c’era anche San Sebastiano.
Di lui abbiamo scarse notizie, basate sostanzialmente sulla “Passio” – fantasioso racconto del V secolo – e sulla più tarda Legenda Aurea di Iacopo da Varazze. Nato forse a Narbona si era poi trasferito a Milano e si era arruolato nell’esercito romano, dove aveva fatto carriera anche grazie alla simpatia e all’appoggio degli imperatori Massimiano e Diocleziano. Malauguratamente però era cristiano e non ci volle molto perché fosse scoperto e condannato a morte: legato a un palo, fu bersagliato da tante frecce “da sembrare un riccio” e lasciato sul luogo del supplizio; i distratti carnefici tuttavia non controllarono lo stato del giovane, che respirava ancora quando la nobile Irene andò a raccoglierlo per curarlo nella sua casa. Così – una volta guarito – l’aspirante martire cercò lui stesso gli imperatori che questa volta lo fecero ammazzare a frustate nell’ippodromo del Palatino e buttare nella Cloaca massima, certi che in quella fogna puzzolente nessuno l’avrebbe trovato. Sebastiano però era tosto anche da morto e fece in modo di comparire in sogno a un’altra pia matrona per ordinarle di raccogliere i resti e dare loro degna sepoltura presso una catacomba sulla via Appia, da allora chiamata col suo nome. Traslate in seguito in una basilica, le spoglie diventarono popolarissime dopo il 680 quando la fine di una pestilenza a Roma fu attribuita all’intervento miracoloso del Santo; in seguito le sue reliquie furono smembrate e distribuite, mentre il suo culto si estese in tutta Italia e in particolare in meridione. L’associazione col terribile morbo era dovuta proprio al tipo di martirio subito, perché secondo le credenze mediche del tempo, si pensava che nell’aria si celassero miasmi infetti che si diffondevano dappertutto con la velocità di una freccia.
L’ultima metamorfosi dovette causare turbamenti erotici, se il Vasari riferisce di un San Sebastiano dipinto dal domenicano Fra Bartolomeo che aveva “corrotto per leggiadria e lasciva imitazione dal vivo” alcune donne che si erano precipitate in confessionale per raccontare i loro peccaminosi desideri, al punto che il priore decise di nascondere il quadro in un posto appartato del convento. Non sappiamo invece quante fantasie maschili avesse causato all’epoca il languido martire e se il moltiplicarsi dei dipinti fosse causato solo da ardore devozionale. Come attestano le cronache, sodomia e pederastia erano piuttosto diffuse all’epoca: a Venezia era stato addirittura istituito un Collegio dei Sodomiti, che aveva il compito di scoprire e denunciare uomini – e anche donne – che praticavano il peccato bestiale “tacai par da drio” e rischiavano di essere bruciati vivi tra le colonne di piazzetta San Marco. Anche a Firenze c’era una colonia omosessuale, e nel 1514 Nicolò Machiavelli  ne traccia una sorta di mappa raccontando in una lettera l’avventura di tal Giuliano Brancacci uscito una sera a caccia di adolescenti disponibili.
Nel 1624 l’arcivescovo di Milano Federico Borromeo nel suo “De Pictura sacra”, raccomandò invano agli artisti di trascurare la bellezza del Santo per concentrarsi sulle sue ferite e sul significato salvifico del martirio, facendo pure notare che Sebastiano era stato ammazzato in età adulta. Niente da fare: Guido Reni che era devotissimo, vergine, detestava le donne (ma non è provato che fosse gay) ne dipinse addirittura otto versioni in pose differenti; prima di lui si erano cimentati sul soggetto pittori come Sandro Botticelli, Antonello da Messina, Perugino, Vittore Carpaccio, Giovanni Bellini, Andrea Mantegna, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, Luca Signorelli, Tiziano, per non parlare degli artisti stranieri e di quelli che sarebbero venuti nei secoli successivi. 
Con l’arrivo dell’Illuminismo il nudo conturbante di Sebastiano cominciò a sparire dagli altari per essere destinato al collezionismo privato, mentre lentamente e apertamente veniva riconosciuto come un catalizzatore di desideri omoerotici. Nell’Ottocento fu ritratto da Gustave Moreau, Odilon Redon, Delacroix e Corot - per dirne alcuni – e con l’avvento della fotografia entrò nel catalogo della nuova arte. Il Santo non interessava solo ai pittori, ma anche a scrittori e poeti e non a caso Oscar Wilde, condannato a tre anni di lavori forzati per la sua omosessualità, assunse all’uscita dal carcere lo pseudonimo di Sebastian Melmoth. Nel 1911 Gabriele D’Annunzio mise in scena “Le martyre de Saint Sébastien” su musica di Debussy, in cui il protagonista era incarnato dalla ballerina russa Ida Rubinstejn, talmente magra e pallida da somigliare a un ermafrodito. Il Vate – uno spirito pagano alla costante ricerca del piacere – presentò il suo santo come vittima dell’imperatore Diocleziano che ordinò di ucciderlo dopo avergli dichiarato il suo amore e averne ricevuto un rifiuto. L’opera entrò poi nell’indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica.
Il martire svolse un ruolo importante nella vita e nelle opere di altri scrittori, da Thomas Mann (La morte a Venezia) che accosta la sua figura a quella del giovane Tadzio amato dal protagonista del romanzo, a Federico Garcìa Lorca, al grande scrittore giapponese Yukio Mishima, a Tennessee Williams che pubblicò una poesia intitolata a San Sebastiano di Sodoma.Anche il cinema si impossessò del mito, prima col film muto “Fabiola” del 1918, replicato nel 1949  con il santo interpretato da Massimo Girotti, e molto più tardi nel 1976, con “Sebastiane” del regista inglese Derek Jarman che sostanzialmente riprese l’idea di D’Annunzio e fece scandalo mostrando nudi maschili e trattando apertamente il suo personaggio non come un santo cristiano, ma come un’icona gay. Al giorno d’oggi col riconoscimento dei diritti LGBT almeno in Europa e in parte dell’America, il culto omosessuale del martire è apertamente praticato da uomini e donne; le sue ferite sono paragonate alle persecuzioni ricevute per aver fatto coming out senza ipocrisia, e del soggetto si sono appropriati artisti come Damien Hirst e Keith Haring. Va aggiunto per completezza che la Chiesa Cattolica considera quest’interpretazione “squallida e dissacrante”; per essa il santo è il “miles Christi” per eccellenza, uomo di eccezionale virtù e simbolo di spiritualità e libertà interiore. 
Anche il mercato si è appropriato del giovane corpo trafitto con esiti a volte molto discutibili: che dire della bambola Ken – il fidanzato di Barbie – appeso a un tronco con relative frecce? L’operazione della Mattel comprende pure altri articoli come un simpatico crocefisso biondo platino in vinile, e una Madonna dello stesso materiale col vestitino in tessuto blu. Cosa non si fa per vendere.
Fonti:
Francesco Danieli, La freccia e la palma, Edizioni universitarie romane

Alfredo Cattabiani, Santi d'Italia, Rizzoli



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