“Seconda
stella a destra, questo è il cammino/e poi dritto fino al
mattino/Poi la strada la trovi da te/porta all'isola che non c'è”:
i versi e le note della canzone di Edoardo Bennato mi sembra
accompagnino bene la descrizione della mappa di Hereford, un'antica
pergamena dipinta nella seconda metà del XIII secolo e conservata
nella cattedrale della città omonima. Questa straordinaria
planimetria alta 1,53 e larga 1,33 rappresenta infatti assai più che
una serie di luoghi fisici e di terre conosciute, ma il racconto
fiabesco del mondo come era pensato nel medioevo, che non a caso
servì di ispirazione a Tolkien per inventare la sua “Terra di
mezzo”. Sappiamo anche il nome dell'autore, Richard di Haldingham,
che si firmò – come usava all'epoca - chiedendo a tutti coloro che
avevano conosciuto il suo lavoro di pregare Gesù per la sua anima.
Richard non era un cartografo (figura professionale che non esisteva)
ma un monaco inglese che voleva spiegare ai suoi lettori il globo
terracqueo e le sue infinite varietà, ma soprattutto inserirvi un
mucchio di storie della Bibbia con relative didascalie assieme a
molte altre informazioni sui continenti rappresentati, sulle città e
i monumenti e sulle strane popolazioni che li abitavano, senza
escluderne l'immaginifica fauna; insomma, una vera e propria summa
del sapere medievale. Possiamo considerare una fortuna che questo
inestimabile documento sia giunto fino a noi attraverso difficili
vicissitudini storiche: rimasta appesa nella cattedrale per più di
settecento anni, fu nascosta sotto il pavimento durante la guerra
civile del Seicento, per poi essere restaurata e recuperata sfuggendo
ai disastri della Seconda Guerra mondiale, destino che non ebbe un
altro famoso mappamondo medievale, quello di Ebstorf un capolavoro
tedesco di tre metri e mezzo di diametro devastato da un
bombardamento alleato.
La
cartografia medievale risale a quella di Tolomeo, un greco
alessandrino del II secolo a.C. autore della “Geografia”, opera
arrivata a noi attraverso copie più tarde, che non voleva
rappresentare l'intero globo, ma solo la parte abitata che lui
chiamava Ecumene. Il cristianesimo sconvolse completamente le
indicazioni tolemaiche: nelle nuove pergamene c'erano sì le zone
popolate, uniche degne di essere descritte, ma il punto focale delle
mappe era il Paradiso terrestre, luogo della cacciata dei
progenitori, attorno a cui si sviluppava la terra circondata dal mare
Oceano. Così la raffigurò un tal Cosma Indicopleuste, un mercante
del VI secolo che aveva visitato l'India e che ci ha lasciato un
curioso mappamondo che assomiglia a una valigia, anche se
nell'intenzione voleva essere un tabernacolo. Dopo di lui
l'enciclopedico vescovo spagnolo Isidoro di Siviglia abbandonò
quella strana rappresentazione a scatola per creare una “Mappa
mundi” che sarebbe stata copiata per gran parte del medioevo: un
cerchio in cui era inscritta una T che suddivideva l'area in tre
zone: in alto l'Asia, nelle porzioni inferiori l'Europa e l'Africa,
mentre diametro e raggio raffiguravano le zone acquee. Le indicazioni
geografiche e spaziali erano completamente arbitrarie perché
l'intento di Isidoro non era tanto di trasmettere connotazioni
fisiche, quanto didascaliche e teologiche. Nei suoi scritti e nelle
illustrazioni che li accompagnano afferma che alla sua epoca esisteva
già la consapevolezza che la terra fosse rotonda – ci avevano
pensato i greci a cercare di misurarla - anche se la sua sfericità
sarà provata solo secoli dopo, con la circumnavigazione di
Ferdinando Magellano. Possedere una carta geografica era anche un
simbolo di status sociale: papa Zaccaria ne volle una dipinta nel suo
palazzo in Laterano, Carlomagno se ne procurò una in argento,
Ruggero II d'Altavilla fece fare per la corte normanna una grande
tavola larga tre metri poi fatta a pezzi durante una congiura di
palazzo.
Lo
schema di Hereford è desunto da Isidoro, dagli scritti di
Plinio, dal geografo greco Strabone, dai santi Agostino e Girolamo,
da antichi documenti romani come l'Itinerario Antonino, dallo storico
Paolo Orosio, mentre le figure fantastiche sono una tipica creazione
medievale, riprodotte in decine di esemplari sui portali delle
chiese, sui capitelli, nelle miniature dei Bestiari. Né sono
estranei l'influenza delle crociate, i viaggi in Terrasanta e la
conoscenza data dalla maggior diffusione dei commerci a nord e a sud
dell'Europa dopo la crescita dei comuni e il superamento del mondo
chiuso del feudalesimo.
Nella pergamena il globo rotondo è inscritto dentro una forma
geometrica il cui lato superiore termina a punta. E' orientato
secondo i punti cardinali mentre teste di animali sottolineano le
direzione dei venti. Come da prassi il mondo è a testa in giù con
l'Asia in cima (l'Oriente dove sorge il sole), sormontata dall'Eden e
dalle immagini dei progenitori; Gerusalemme si trova al centro con
Gesù crocifisso, e non poteva essere altrimenti in un'epoca
radicalmente votata al tema della redenzione; la città santa infatti
non era solo il luogo della Sua morte ma, secondo le scritture, anche
quello della Sua seconda venuta. L'Europa, l'Occidente (il sole che
tramonta) e il nord stanno a sinistra e in basso si aprono le Colonne
d'Ercole, ritenute all'epoca un varco proibito “acciò che l'uom
più oltre non si metta”, come ricorda anche Dante nella sua
Commedia (Inferno, canto XXVI); l'Africa è posizionata di fronte a
destra (il Meridione).
Dentro
la cima triangolare si dispiega il giudizio universale con la
classica suddivisione tra beati e dannati con angeli accoglienti coi
primi e poco accomodanti coi secondi (“alzati e va all'inferno”
dice uno di loro a un povero peccatore). Le scritte sono in parte in
latino in parte in una sorta di dialetto franco-normanno; i colori
scuriti dai secoli dovevano essere molto vivaci, col mar Mediterraneo
in verde, i fiumi in azzurro, il mar Rosso color sangue senza contare
alcune lettere in oro tra cui quelle disposte attorno al cerchio
della terra che formano la parola latina “Mors”, con allusione
alla precarietà della vita umana. Per il resto la pergamena è
completamente decorata da illustrazioni in un'affascinante e onirica
insalata medievale priva di distinzione fisica o temporale: si
pongono sullo stesso piano luoghi della storia e della leggenda, il
labirinto di Creta, la torre di Babele e Babilonia – “dalle
grandi mura e dai cento cancelli” - l'accampamento di Alessandro
Magno, Troia, Roma (il testo dice: “Roma caput mundi tiene le
redini della sfera terrestre”), il faro di Alessandria da cui
partono lingue di fuoco, Delfi col suo oracolo, la città di Parigi
svettante di torri e pinnacoli e naturalmente quella di Hereford.
La
parte più curiosa della mappa è forse rappresentata dalle creature
viventi, in particolare dai numerosi mostriciattoli che popolano le
terre più lontane da Gerusalemme. Fin dall'epoca di Sant'Agostino ci
si chiedeva cosa ci fosse agli antipodi, dall'altra parte della
terra: il vescovo di Ippona riteneva completamente assurda l'idea che
potessero esistere uomini che calcavano la terra con la testa
all'ingiù e i piedi all'insù; inoltre pensava che se i primi esseri
umani erano stati creati nell'emisfero nord – come racconta la
Bibbia – il resto del globo dovesse essere disabitato anche perché
si supponeva che a sud si aprissero terribili zone torride e
infuocate inadatte alla vita. Il mito tuttavia ha una forza di
suggestione che poco può contro ragionamenti più o meno logici, e
così il tema degli antipodi e dei suoi abitanti finì per ampliarsi
lo stesso e l'immaginazione galoppò inserendo all'altro capo del
mondo strani esseri umani e favolose creature animali. Gli umanoidi
descritti non solo erano deformi né più né meno come ci
immaginiamo un alieno dei giorni nostri, ma al contrario di questi
ultimi non erano evoluti e decisamente inferiori, in una sorta di
razzismo ante litteram.
Per
citarne alcuni: l'Asia era abitata dagli Essedoni, che avevano
l'abitudine di divorare i corpi dei loro genitori defunti; c'erano
poi gli Sciapodi, dotati di un unico piedone grande quanto un
ombrello per proteggersi dalla calura estiva, e ancora gli Ippopodi o
uomini dai piedi equini; gli Arimaspi o Monocoli con un occhio solo
sono rappresentati mentre lottano coi grifoni per accaparrarsi
miniere d'oro e di diamanti.
In india vive invece un terribile
animale, la Manticora, entrata perfino nella letteratura moderna
prosperando anche nei racconti fantasy e nei videogiochi: “ ha tre
ordini di denti connessi come quelli di un pettine, faccia e orecchie
d'uomo, occhi azzurri, corpo cremisi di leone, e coda terminante in
aculeo come di scorpione” (Jorge Luis Borges, “Manuale di
zoologia fantastica”). Simbolo nel medioevo di tirannia e invidia,
la simpatica bestiola lancia micidiali spine velenose e si nutre di
carne umana, ma assaggia anche altri animali eccetto l'elefante che è
immune dai dardi tossici. Ha un canto seducente e armonioso con cui
attira uomini, donne e bambini per divorarli, ma se le si taglia la
coda da piccola diventa un innocuo cucciolotto che si può portare a
spasso come un cane da compagnia.
Non
è possibile qui fare l'elenco completo delle strane creature che
popolano la mappa di Hereford: dai Cinocefali con la testa di cane,
ai Blemmi africani privi di testa ma con occhi e bocca sul torace, ai
Panozi dalle enormi orecchie pendenti usate a mo' di coperta al
momento del sonno, mentre non mancano l'unicorno, la sirena e la
lince, che come Superman ha la vista a raggi x che perfora i muri.
Tutto sommato un mondo poco rassicurante che consiglierebbe al
viaggiatore di restarsene a casa sua; l'unico posto dove si poteva
vivere alla grande era Iperborea, una mitica terra circondata
dall'oceano che già i greci situavano al nord, visitata dagli dei e
popolata da gente fortunata che non conosceva la malattia e dove
fioriva eternamente la primavera. In mancanza di guerre, di incidenti
e di discussioni nessuno moriva a meno che – suggerisce Richard di
Haldingham – non lo facesse in modo volontario buttandosi in mare
da una roccia. Un vero paradiso, appunto un'isola con non c'è.
Fonti:
Eliana
Carrara, Popolazioni favolose, Enciclopedia dell'arte medievale,
Treccani
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