Spettacolari
teste composte con prodotti della terra come fiori, frutti, cortecce, funghi, pannocchie;
oppure realizzate incastrando tra loro molte specie di mammiferi, volatili,
pesci, o componendo puzzle di oggetti come libri, lucerne, armi da fuoco:
questa la produzione di Giuseppe Arcimboldo (o Arcimboldi), singolare artista
lombardo di grande reputazione nel XVI secolo. Figlio di Biagio, pittore impiegato
presso la Fabbrica del Duomo di Milano, si formò in un ambiente dove aveva
soggiornato a lungo Leonardo da Vinci, lasciandovi in eredità l’amore per
l’osservazione attenta della natura nelle sue infinite variazioni, non
disgiunto dal gusto per la caricatura grottesca. Non sappiamo molto della
giovanile attività di Giuseppe, se non le note lasciateci dal gesuita Paolo
Morigia che lo definisce “pittore raro” e autore di “diverse bizzarrie”; il suo
lavoro dovette però procurargli una certa notorietà anche fuori dalla penisola,
tanto che nel 1562 partì alla volta dell’Austria su invito di Massimiliano II
d’Asburgo dove fu accolto con molta benevolenza e adeguato stipendio. L’estro
di Arcimboldo fu messo alla prova – come capitava spesso agli artisti del periodo
- nella realizzazione di cortei, feste, giochi e mascherate che necessitavano di costumi fantastici,
coreografie e scenografie adeguati che dovevano rallegrare e stupire la corte.
Oltre a ciò la sua immaginazione trovava terreno fertile nella passione
- che cominciò a dilagare sul finire
del Cinquecento in tutta Europa – di raccogliere e catalogare in uno o più ambienti (detti alla tedesca Wunderkammern, Camere delle meraviglie) oggetti rari e preziosi, opere d’arte, ritrovamenti archeologici, lavori di ebanisteria e di alto artigianato, ma anche stranezze esotiche come uova di struzzo, corni di rinoceronte e di narvalo (scambiato per il mitico unicorno), finti basilischi assemblati con parti di pesci e altre curiose cianfrusaglie.
del Cinquecento in tutta Europa – di raccogliere e catalogare in uno o più ambienti (detti alla tedesca Wunderkammern, Camere delle meraviglie) oggetti rari e preziosi, opere d’arte, ritrovamenti archeologici, lavori di ebanisteria e di alto artigianato, ma anche stranezze esotiche come uova di struzzo, corni di rinoceronte e di narvalo (scambiato per il mitico unicorno), finti basilischi assemblati con parti di pesci e altre curiose cianfrusaglie.
A queste bizzarre collezioni dovette pensare Arcimboldo quando - al
servizio di Massimiliano - produsse una serie di piccole tavole che ebbero un
successo strepitoso e furono imitate al punto da creare al giorno d’oggi non
poco imbarazzo per distinguere le copie dagli originali autografi. I soggetti
rappresentano “Le quattro stagioni” – Primavera, Estate, Autunno, Inverno - e
“I quattro elementi” -
Aria, Fuoco, Terra, Acqua - che dovevano essere appesi nelle
regali stanze
fronteggiandosi a coppie. Otto mezzi busti che, se visti da lontano appaiono come profili umani su fondo scuro, da vicino si dimostrano composizioni in cui, per fare l’esempio dell’estate, il naso è formato da un cetriolo, l’orecchio da una melanzana, la guancia è una pesca e le labbra sono ciliegie. A studiarli meglio però i quadretti del pittore lombardo - oltre a sembrare un catalogo di prodotti di stagione - svelano ulteriori significati: essi non sono solo un “divertissement”, ma un’operazione intellettualistica collegata sia alle conoscenze scientifiche dell’epoca, che non si erano emancipate di molto dalla lezione della Grecia antica e di Aristotele, sia all’esaltazione degli Asburgo i cui simboli e le imprese araldiche emergono dagli intrichi animali e vegetali. Le imprese erano un genere complesso di allegorie - poco immediato per l’osservatore moderno - che risaliva al Medioevo ed era diffusissimo nel Rinascimento che ne fece anche delle raccolte a stampa piuttosto astruse: in pratica non c’era signore o città che non avesse una o più immagini simboliche riportate nello stemma gentilizio, che si moltiplicavano con l’importanza della casata: nella versione arcimboldesca dell’Aria (di cui non esiste più l'originale) completamente composta di pennuti, tra
occhietti e becchi aguzzi sporgono il pavone e l’aquila, animali collegati agli Asburgo; la Terra ha le spoglie del leone di Boemia e del Toson d’Oro, insegna del prestigioso Ordine cavalleresco di Carlo V e che rimanda al mitico vello d'oro rubato dagli Argonauti: anche il Fuoco riprende la stessa idea aggiungendovi micce, armi e una colubrina con riferimento alle battaglie contro i Turchi che premevano per invadere l’impero. Tutti i busti inoltre presentano una sorta di corona regale, di fiori, di frutti, di grappoli d’uva, di rami, di teste d’uccello, di fiamme, di corna (è il caso della Terra) di pesci e sono in definitiva ritratti dell’imperatore associato come una divinità alle stagioni e al tempo, al macrocosmo e al microcosmo.
fronteggiandosi a coppie. Otto mezzi busti che, se visti da lontano appaiono come profili umani su fondo scuro, da vicino si dimostrano composizioni in cui, per fare l’esempio dell’estate, il naso è formato da un cetriolo, l’orecchio da una melanzana, la guancia è una pesca e le labbra sono ciliegie. A studiarli meglio però i quadretti del pittore lombardo - oltre a sembrare un catalogo di prodotti di stagione - svelano ulteriori significati: essi non sono solo un “divertissement”, ma un’operazione intellettualistica collegata sia alle conoscenze scientifiche dell’epoca, che non si erano emancipate di molto dalla lezione della Grecia antica e di Aristotele, sia all’esaltazione degli Asburgo i cui simboli e le imprese araldiche emergono dagli intrichi animali e vegetali. Le imprese erano un genere complesso di allegorie - poco immediato per l’osservatore moderno - che risaliva al Medioevo ed era diffusissimo nel Rinascimento che ne fece anche delle raccolte a stampa piuttosto astruse: in pratica non c’era signore o città che non avesse una o più immagini simboliche riportate nello stemma gentilizio, che si moltiplicavano con l’importanza della casata: nella versione arcimboldesca dell’Aria (di cui non esiste più l'originale) completamente composta di pennuti, tra
occhietti e becchi aguzzi sporgono il pavone e l’aquila, animali collegati agli Asburgo; la Terra ha le spoglie del leone di Boemia e del Toson d’Oro, insegna del prestigioso Ordine cavalleresco di Carlo V e che rimanda al mitico vello d'oro rubato dagli Argonauti: anche il Fuoco riprende la stessa idea aggiungendovi micce, armi e una colubrina con riferimento alle battaglie contro i Turchi che premevano per invadere l’impero. Tutti i busti inoltre presentano una sorta di corona regale, di fiori, di frutti, di grappoli d’uva, di rami, di teste d’uccello, di fiamme, di corna (è il caso della Terra) di pesci e sono in definitiva ritratti dell’imperatore associato come una divinità alle stagioni e al tempo, al macrocosmo e al microcosmo.
Le opere di
Arcimboldo nascono dopo le grandi scoperte geografiche che fecero conoscere
all’Europa un mondo sterminato e completamente sconosciuto. E’ proprio in
questo periodo che, abbandonando la compilazione di bestiari fantastici tanto
cara al Medioevo, si cominciarono a redigere raccolte di piante ed animali
provenienti dai nuovi continenti cercando di creare un gigantesco schedario zoologico e botanico
dell’esistente, peraltro non privo di errori e fantasticherie. Ne abbiamo un
esempio nella tavola che rappresenta l’Acqua dove sono state identificate più
di sessanta specie tra pesci, come la
razza e lo squalo, mammiferi acquatici come la foca, anfibi e rettili come la
tartaruga, invertebrati come il corallo e molluschi. Un’ulteriore curiosità
arcimboldesca che doveva deliziare la corte erano le cosiddette “teste
reversibili”, figure che al diritto rappresentavano cibarie, ma che se girate
di 180 gradi mostravano essere ritratti caricaturali: ne è un esempio L’ortolano,
da una parte un contenitore pieno di ortaggi, dall’altra un rubicondo fruttivendolo
in forma vegetale con una specie di scodella metallica a mo’ di cappello.Alla morte
di Massimiliano salì al trono il malinconico figlio Rodolfo, collezionista
appassionato che continuò a stipendiare l’artista, se pur non per dipingere ma
per andare alla ricerca di pezzi rari per la sua Camera delle meraviglie, che
divenne ben presto la più importante e
grande d’Europa. Tuttavia Giuseppe, dopo anni di fedele servizio, sentiva la
nostalgia della sua Milano e cominciò a insistere con l’imperatore per essere
rispedito in
patria: dopo un paio d’anni il sovrano l’accontentò, facendolo tornare a casa carico di gloria e di denaro e con la promessa di dipingere ancora per lui. Fedele alla parola data, Arcimboldo gli spedì dall’Italia gli ultimi due quadri della sua vita, una Flora e il ritratto botanico di Rodolfo come Vertumno, una divinità di origine etrusca che presiedeva alla maturazione dei frutti e che aveva il dono di trasformarsi in qualsiasi forma volesse. Il dipinto, in cui il l’Asburgo è raffigurato frontale, rappresenta la summa delle altre stagioni perché vi compaiono in totale e simultanea pienezza fiori primaverili, frutti estivi e autunnali e verdure tipiche dell’inverno, alludendo all’aurea età dell’abbondanza inaugurata dall’imperatore, signore delle stagioni e degli elementi nella loro eterna mutazione.
Se dopo la
morte i lavori dell’artista lombardo furono dimenticati, non lo fu l’idea di
comporre ritratti usando vegetali, animali e ogni tipo di attrezzo e oggetto,
fino a spingersi – in particolare durante il Settecento – alla creazione di
grottesche caricature interamente composte da genitali maschili. Furono invece
il movimento Surrealista e Dadaista che riscoprirono l’opera di Arcimboldo apprezzandone
il gusto per il fantastico e la metamorfosi, e lo rilanciarono nel mondo
moderno dove è diventato un costante punto di riferimento per artisti, grafic
designers e campagne pubblicitarie.patria: dopo un paio d’anni il sovrano l’accontentò, facendolo tornare a casa carico di gloria e di denaro e con la promessa di dipingere ancora per lui. Fedele alla parola data, Arcimboldo gli spedì dall’Italia gli ultimi due quadri della sua vita, una Flora e il ritratto botanico di Rodolfo come Vertumno, una divinità di origine etrusca che presiedeva alla maturazione dei frutti e che aveva il dono di trasformarsi in qualsiasi forma volesse. Il dipinto, in cui il l’Asburgo è raffigurato frontale, rappresenta la summa delle altre stagioni perché vi compaiono in totale e simultanea pienezza fiori primaverili, frutti estivi e autunnali e verdure tipiche dell’inverno, alludendo all’aurea età dell’abbondanza inaugurata dall’imperatore, signore delle stagioni e degli elementi nella loro eterna mutazione.
Fonti: Francesco Porzio, L’universo illusorio di Arcimboldi, Fabbri editori
http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2011/04/14/news/arcimboldo_a_milano-14933197/http://www.lundici.it/2015/06/limperatore-ha-il-naso-a-pera-parola-di-arcimboldo/
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