mercoledì 4 novembre 2015

L'imperatore ha il naso a pera: parola di Arcimboldo

Spettacolari teste composte con prodotti della terra come fiori, frutti, cortecce, funghi, pannocchie; oppure realizzate incastrando tra loro molte specie di mammiferi, volatili, pesci, o componendo puzzle di oggetti come libri, lucerne, armi da fuoco: questa la produzione di Giuseppe Arcimboldo (o Arcimboldi), singolare artista lombardo di grande reputazione nel XVI secolo. Figlio di Biagio, pittore impiegato presso la Fabbrica del Duomo di Milano, si formò in un ambiente dove aveva soggiornato a lungo Leonardo da Vinci, lasciandovi in eredità l’amore per l’osservazione attenta della natura nelle sue infinite variazioni, non disgiunto dal gusto per la caricatura grottesca. Non sappiamo molto della giovanile attività di Giuseppe, se non le note lasciateci dal gesuita Paolo Morigia che lo definisce “pittore raro” e autore di “diverse bizzarrie”; il suo lavoro dovette però procurargli una certa notorietà anche fuori dalla penisola, tanto che nel 1562 partì alla volta dell’Austria su invito di Massimiliano II d’Asburgo dove fu accolto con molta benevolenza e adeguato stipendio. L’estro di Arcimboldo fu messo alla prova – come capitava spesso agli artisti del periodo - nella realizzazione di cortei, feste, giochi e mascherate che necessitavano di costumi fantastici, coreografie e scenografie adeguati che dovevano rallegrare e stupire la corte. Oltre a ciò la sua immaginazione  trovava terreno fertile nella passione - che cominciò a dilagare sul finire
del Cinquecento in tutta Europa – di raccogliere e catalogare in uno o più ambienti (detti alla tedesca Wunderkammern, Camere delle meraviglie) oggetti rari e preziosi, opere d’arte, ritrovamenti archeologici, lavori di ebanisteria e di alto artigianato, ma anche stranezze esotiche come uova di struzzo, corni di rinoceronte e di narvalo (scambiato per il mitico unicorno), finti basilischi assemblati con parti di pesci e altre curiose cianfrusaglie.
A queste bizzarre collezioni dovette pensare Arcimboldo quando - al servizio di Massimiliano - produsse una serie di piccole tavole che ebbero un successo strepitoso e furono imitate al punto da creare al giorno d’oggi non poco imbarazzo per distinguere le copie dagli originali autografi. I soggetti rappresentano “Le quattro stagioni” – Primavera, Estate, Autunno, Inverno - e “I quattro elementi” - Aria, Fuoco, Terra, Acqua - che dovevano essere appesi nelle regali stanze
fronteggiandosi a coppie. Otto mezzi busti che, se visti da lontano appaiono come profili umani su fondo scuro, da vicino si dimostrano composizioni in cui, per fare l’esempio dell’estate,  il naso è formato da un cetriolo, l’orecchio da una melanzana, la guancia è una pesca e le labbra sono ciliegie. A studiarli meglio però i quadretti del pittore lombardo - oltre a sembrare un catalogo di prodotti di stagione - svelano ulteriori significati: essi non sono solo un “divertissement”, ma un’operazione intellettualistica collegata sia alle conoscenze scientifiche dell’epoca, che non si erano emancipate di molto dalla lezione della Grecia antica e di Aristotele, sia all’esaltazione degli Asburgo i cui simboli e le imprese araldiche emergono dagli intrichi animali e vegetali. Le imprese erano un  genere complesso di allegorie - poco immediato per l’osservatore moderno - che risaliva al Medioevo ed era diffusissimo nel Rinascimento che ne fece anche delle raccolte a stampa piuttosto astruse: in pratica non c’era signore o città che non avesse una o più immagini simboliche riportate nello stemma gentilizio, che si moltiplicavano con l’importanza della casata: nella versione arcimboldesca dell’Aria (di cui non esiste più l'originale) completamente composta di pennuti, tra
occhietti e becchi aguzzi sporgono il pavone e l’aquila, animali collegati agli Asburgo; la Terra ha le spoglie del leone di Boemia e del Toson d’Oro, insegna del prestigioso Ordine cavalleresco di Carlo V e che rimanda al mitico vello d'oro rubato dagli Argonauti: anche il Fuoco riprende la stessa idea aggiungendovi micce, armi e una colubrina con riferimento alle battaglie contro i Turchi che premevano per invadere l’impero. Tutti i busti inoltre presentano una sorta di corona regale, di fiori, di frutti, di grappoli d’uva, di rami, di teste d’uccello, di fiamme, di corna (è il caso della Terra) di pesci e sono in definitiva ritratti dell’imperatore associato come una divinità alle stagioni e al tempo, al macrocosmo e al microcosmo.
Le opere di Arcimboldo nascono dopo le grandi scoperte geografiche che fecero conoscere all’Europa un mondo sterminato e completamente sconosciuto. E’ proprio in questo periodo che, abbandonando la compilazione di bestiari fantastici tanto cara al Medioevo, si cominciarono a redigere raccolte di piante ed animali provenienti dai nuovi continenti cercando di creare un  gigantesco schedario zoologico e botanico dell’esistente, peraltro non privo di errori e fantasticherie. Ne abbiamo un esempio nella tavola che rappresenta l’Acqua dove sono state identificate più di sessanta  specie tra pesci, come la razza e lo squalo, mammiferi acquatici come la foca, anfibi e rettili come la tartaruga, invertebrati come il corallo e molluschi. Un’ulteriore curiosità arcimboldesca che doveva deliziare la corte erano le cosiddette “teste reversibili”, figure che al diritto rappresentavano cibarie, ma che se girate di 180 gradi mostravano essere ritratti caricaturali: ne è un esempio L’ortolano, da una parte un contenitore pieno di ortaggi, dall’altra un rubicondo fruttivendolo in forma vegetale con una specie di scodella metallica a mo’ di cappello.Alla morte di Massimiliano salì al trono il malinconico figlio Rodolfo, collezionista appassionato che continuò a stipendiare l’artista, se pur non per dipingere ma per andare alla ricerca di pezzi rari per la sua Camera delle meraviglie, che divenne ben presto la più  importante e grande d’Europa. Tuttavia Giuseppe, dopo anni di fedele servizio, sentiva la nostalgia della sua Milano e cominciò a insistere con l’imperatore per essere rispedito in
patria:  dopo un paio d’anni il sovrano l’accontentò, facendolo tornare a casa carico di gloria e di denaro e con la promessa di dipingere ancora per  lui. Fedele alla parola data, Arcimboldo gli spedì dall’Italia gli ultimi due quadri della sua vita, una Flora e il ritratto botanico di Rodolfo come Vertumno, una divinità di origine etrusca che presiedeva alla maturazione dei frutti e che aveva il dono di trasformarsi in qualsiasi forma volesse. Il dipinto, in cui il l’Asburgo è raffigurato frontale, rappresenta la summa delle altre stagioni perché vi compaiono in totale e simultanea pienezza fiori primaverili, frutti estivi e autunnali e verdure tipiche dell’inverno, alludendo all’aurea età dell’abbondanza inaugurata dall’imperatore, signore delle stagioni e degli elementi nella loro eterna mutazione.
Se dopo la morte i lavori dell’artista lombardo furono dimenticati, non lo fu l’idea di comporre ritratti usando vegetali, animali e ogni tipo di attrezzo e oggetto, fino a spingersi – in particolare durante il Settecento – alla creazione di grottesche caricature interamente composte da genitali maschili. Furono invece il movimento Surrealista e Dadaista che riscoprirono l’opera di Arcimboldo apprezzandone il gusto per il fantastico e la metamorfosi, e lo rilanciarono nel mondo moderno dove è diventato un costante punto di riferimento per artisti, grafic designers e campagne pubblicitarie.

Fonti: Francesco Porzio, L’universo illusorio di Arcimboldi, Fabbri editori
http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2011/04/14/news/arcimboldo_a_milano-14933197/http://www.lundici.it/2015/06/limperatore-ha-il-naso-a-pera-parola-di-arcimboldo/

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