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del Cinquecento in tutta Europa – di raccogliere e catalogare in uno o più ambienti (detti alla tedesca Wunderkammern, Camere delle meraviglie) oggetti rari e preziosi, opere d’arte, ritrovamenti archeologici, lavori di ebanisteria e di alto artigianato, ma anche stranezze esotiche come uova di struzzo, corni di rinoceronte e di narvalo (scambiato per il mitico unicorno), finti basilischi assemblati con parti di pesci e altre curiose cianfrusaglie.
A queste bizzarre collezioni dovette pensare Arcimboldo quando - al
servizio di Massimiliano - produsse una serie di piccole tavole che ebbero un
successo strepitoso e furono imitate al punto da creare al giorno d’oggi non
poco imbarazzo per distinguere le copie dagli originali autografi. I soggetti
rappresentano “Le quattro stagioni” – Primavera, Estate, Autunno, Inverno - e
“I quattro elementi” -
Aria, Fuoco, Terra, Acqua - che dovevano essere appesi nelle
regali stanze
fronteggiandosi a coppie. Otto mezzi busti che, se visti da lontano appaiono come profili umani su fondo scuro, da vicino si dimostrano composizioni in cui, per fare l’esempio dell’estate, il naso è formato da un cetriolo, l’orecchio da una melanzana, la guancia è una pesca e le labbra sono ciliegie. A studiarli meglio però i quadretti del pittore lombardo - oltre a sembrare un catalogo di prodotti di stagione - svelano ulteriori significati: essi non sono solo un “divertissement”, ma un’operazione intellettualistica collegata sia alle conoscenze scientifiche dell’epoca, che non si erano emancipate di molto dalla lezione della Grecia antica e di Aristotele, sia all’esaltazione degli Asburgo i cui simboli e le imprese araldiche emergono dagli intrichi animali e vegetali. Le imprese erano un genere complesso di allegorie - poco immediato per l’osservatore moderno - che risaliva al Medioevo ed era diffusissimo nel Rinascimento che ne fece anche delle raccolte a stampa piuttosto astruse: in pratica non c’era signore o città che non avesse una o più immagini simboliche riportate nello stemma gentilizio, che si moltiplicavano con l’importanza della casata: nella versione arcimboldesca dell’Aria (di cui non esiste più l'originale) completamente composta di pennuti, tra
occhietti e becchi aguzzi sporgono il pavone e l’aquila, animali collegati agli Asburgo; la Terra ha le spoglie del leone di Boemia e del Toson d’Oro, insegna del prestigioso Ordine cavalleresco di Carlo V e che rimanda al mitico vello d'oro rubato dagli Argonauti: anche il Fuoco riprende la stessa idea aggiungendovi micce, armi e una colubrina con riferimento alle battaglie contro i Turchi che premevano per invadere l’impero. Tutti i busti inoltre presentano una sorta di corona regale, di fiori, di frutti, di grappoli d’uva, di rami, di teste d’uccello, di fiamme, di corna (è il caso della Terra) di pesci e sono in definitiva ritratti dell’imperatore associato come una divinità alle stagioni e al tempo, al macrocosmo e al microcosmo.
fronteggiandosi a coppie. Otto mezzi busti che, se visti da lontano appaiono come profili umani su fondo scuro, da vicino si dimostrano composizioni in cui, per fare l’esempio dell’estate, il naso è formato da un cetriolo, l’orecchio da una melanzana, la guancia è una pesca e le labbra sono ciliegie. A studiarli meglio però i quadretti del pittore lombardo - oltre a sembrare un catalogo di prodotti di stagione - svelano ulteriori significati: essi non sono solo un “divertissement”, ma un’operazione intellettualistica collegata sia alle conoscenze scientifiche dell’epoca, che non si erano emancipate di molto dalla lezione della Grecia antica e di Aristotele, sia all’esaltazione degli Asburgo i cui simboli e le imprese araldiche emergono dagli intrichi animali e vegetali. Le imprese erano un genere complesso di allegorie - poco immediato per l’osservatore moderno - che risaliva al Medioevo ed era diffusissimo nel Rinascimento che ne fece anche delle raccolte a stampa piuttosto astruse: in pratica non c’era signore o città che non avesse una o più immagini simboliche riportate nello stemma gentilizio, che si moltiplicavano con l’importanza della casata: nella versione arcimboldesca dell’Aria (di cui non esiste più l'originale) completamente composta di pennuti, tra
occhietti e becchi aguzzi sporgono il pavone e l’aquila, animali collegati agli Asburgo; la Terra ha le spoglie del leone di Boemia e del Toson d’Oro, insegna del prestigioso Ordine cavalleresco di Carlo V e che rimanda al mitico vello d'oro rubato dagli Argonauti: anche il Fuoco riprende la stessa idea aggiungendovi micce, armi e una colubrina con riferimento alle battaglie contro i Turchi che premevano per invadere l’impero. Tutti i busti inoltre presentano una sorta di corona regale, di fiori, di frutti, di grappoli d’uva, di rami, di teste d’uccello, di fiamme, di corna (è il caso della Terra) di pesci e sono in definitiva ritratti dell’imperatore associato come una divinità alle stagioni e al tempo, al macrocosmo e al microcosmo.
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patria: dopo un paio d’anni il sovrano l’accontentò, facendolo tornare a casa carico di gloria e di denaro e con la promessa di dipingere ancora per lui. Fedele alla parola data, Arcimboldo gli spedì dall’Italia gli ultimi due quadri della sua vita, una Flora e il ritratto botanico di Rodolfo come Vertumno, una divinità di origine etrusca che presiedeva alla maturazione dei frutti e che aveva il dono di trasformarsi in qualsiasi forma volesse. Il dipinto, in cui il l’Asburgo è raffigurato frontale, rappresenta la summa delle altre stagioni perché vi compaiono in totale e simultanea pienezza fiori primaverili, frutti estivi e autunnali e verdure tipiche dell’inverno, alludendo all’aurea età dell’abbondanza inaugurata dall’imperatore, signore delle stagioni e degli elementi nella loro eterna mutazione.
Fonti: Francesco Porzio, L’universo illusorio di Arcimboldi, Fabbri editori
http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2011/04/14/news/arcimboldo_a_milano-14933197/http://www.lundici.it/2015/06/limperatore-ha-il-naso-a-pera-parola-di-arcimboldo/
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