“Che
ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà fede nel suo Dio,
sentirà la pace in cuore”: è questa la frase di tolleranza e
buonsenso che, secondo viaggiatore arabo Ibn Jubayr, fu pronunciata nel
1169 da Guglielmo II di Sicilia in occasione di un forte terremoto
che colpì Palermo. Piazzato da Dante in Paradiso, questo re normanno
apparteneva alla casata degli Altavilla, una dinastia di uomini
provenienti dalla Scandinavia – tra loro si chiamavano Vichinghi –
che dall’XI secolo erano scesi in Francia, in Inghilterra, in
Spagna, e infine nel sud Italia cercando nuove terre e ricchezze. In
vent’anni i Normanni riuscirono a strappare il dominio della
Sicilia agli arabi facendone un forte stato feudale; inoltre,
contrariamente alla pessima fama di pirati e razziatori senza pietà
di cui godevano, non distrussero le culture islamiche e bizantine
fiorenti nell’isola, ma ne favorirono l’integrazione pacifica
apportandovi anche elementi del linguaggio nordico. Prova ne sia che
per le strade selciate, pulite e ordinate di Palermo si potevano
sentir parlare latino, greco, arabo, ebraico in una fusione di etnie
su cui a quei tempi nessuno aveva da ridire, mentre perfino gli atti
pubblici erano redatti in tre lingue.
Diventato
re nel 1166 alla verde età di quattordici anni, Guglielmo II ereditò
dai suoi antenati uno stato potente e florido, dotato di un
efficiente sistema legislativo che veniva messo in pratica da una
solerte e capace burocrazia, mentre il lungo periodo di pace aveva
permesso anche di garantire una splendida fioritura artistica. Il
ragazzo, ambizioso e determinato, non poté tuttavia esercitare
alcuna autorità prima di essere diventato maggiorenne; durante
questo lasso di tempo rimase sotto la tutela di un precettore
inglese, il vescovo Walter of the Mill - italianizzato in Gualtiero
Offamilio - che approfittò largamente della sua posizione per
accaparrarsi prerogative che appartenevano allo stato. Quando
finalmente Guglielmo assunse il potere le tensioni tra i due
sfociarono in lotta aperta. Il motivo scatenante fu la decisione del
prelato di traslare il corpo di Ruggero II (avo del giovane monarca)
dalla cattedrale di Cefalù al duomo di Palermo, città sotto la sua
giurisdizione: il sovrano non la prese bene e decise di rispondere
costruendo a Monreale un grande complesso monastico benedettino, con
annesso palazzo reale, al centro di un vastissimo territorio che fu
sottratto alla diocesi palermitana. Guglielmo raccontò poi che
quest’idea gli era venuta da un sogno: addormentatosi sotto a un
carrubo, gli era apparsa la Madonna che gli aveva consigliato di
scavare sotto l’albero perché avrebbe trovato un tesoro in monete
d’oro col quale si sarebbe dovuta costruire una cattedrale in suo
nome. Verità, leggenda o semplicemente astuzia? Impossibile
stabilirlo, ma sta di fatto che nel giro di poco meno di vent’anni
le opere murarie erano finite e si poté iniziare l’immane impresa
decorativa. Il duomo di Monreale, dedicato a Santa Maria, sarebbe
diventata la basilica più bella della Sicilia e simbolo, assieme
agli edifici circostanti, dell’azione e del potere normanni in
autonomia dalla Chiesa romana.
Adagiato
in una splendida posizione nell’anfiteatro della Conca d’oro,
l’attuale complesso rappresenta solo una parte del progetto
originario che ha subito nel tempo incendi e rimaneggiamenti, al
punto che delle costruzioni medievali rimangono solo in piedi la
Chiesa e il chiostro del convento. Non conosciamo il nome
dell’architetto che – sotto la supervisione del re - si avvalse
di una manodopera ben addestrata proveniente da diverse culture
ognuna delle quali lasciò la sua impronta stilistica: araba, greca,
pugliese, pisana e veneziana. L’idea iniziale fu di erigere un
recinto fortificato – ormai scomparso - all’interno del quale si
sviluppavano gli edifici conventuali, la basilica e il palazzo reale;
una sorta di “fortilizio della fede” testimoniato dalle due torri
massicce tuttora esistenti ai lati della facciata del duomo e che se
da un lato esprimevano il carattere guerriero della stirpe normanna,
dall’altro dovevano servire come difesa da eventuali attacchi in un
territorio in cui la componente islamica era ancora molto forte. Il
gusto delle maestranze arabe è ben visibile invece nella struttura
dell’abside ad archi intrecciati di tipo moresco - sottolineati
dalla policromia delle nervature - e nel chiostro con la fontana
angolare a forma di palma.
La
posizione della basilica non fu scelta a caso, ma – come era d’uso
nel medioevo - sulla base di un preciso orientamento astronomico che
permetteva ai raggi del sole di illuminare in determinati periodi
dell’anno le immagini interne corrispondenti alle ricorrenze del
calendario eucaristico, dall' Annunciazione alla Natività, dalla
Crocifissione all' Assunzione in cielo. Al sole come simbolo divino
si rifacevano anche le decorazioni del tempio a tre navate, ricoperte
da un enorme e brillante tappeto di ben 6.340 metri quadrati di
mosaici a fondo d’oro; il duomo traduce così l’idea del Cristo
come “Luce di luce e sorgente di luce” già formulata secoli
prima da Sant’Ambrogio e alla base di tutta l’arte bizantina. Il
luccicare delle tessere era assicurato – oltre che dal tipo di
materiale usato – dalla loro inclinazione rispetto alla base
muraria sottostante, in modo da permettere una diversa rifrazione dei
raggi luminosi. Il centro della narrazione musiva è situato nel
catino absidale: un gigantesco mezzo busto del Cristo Pantocratore ,
dal greco “pantokrátōr”, l’Onnipotente, "Colui che
domina tutte le cose", con la mano destra benedicente e le
braccia aperte ad accogliere l’universo. Sulle pareti delle navate
centrali si dispiegano le storie dell’Antico Testamento, dalla
“Creazione del mondo” alla “Lotta tra Giacobbe e l’angelo”;
su quelle laterali i miracoli e la predicazione di Gesù; le scene
evangeliche continuano nel transetto e nella crociera e terminano con
“L’Ascensione al cielo” e “La Pentecoste”; a questi
riquadri si aggiunge poi una moltitudine di figure isolate:
arcangeli, cherubini e serafini, santi e profeti e - nelle cappelle
ai lati dell’abside - storie di san Pietro e san Paolo.
La
complessa struttura del ciclo nasce da un impianto teologico che
vuole illustrare i dogmi su cui si basa il pensiero cristiano: dalla
storia della salvezza, che inizia con il peccato originale e termina
con la missione redentrice di Gesù, all’importanza della liturgia
con la rappresentazione dei brani evangelici recitati durante le
funzioni annuali, alla centralità di Cristo come Verbo, Vita e Luce
degli uomini.Lo
stile dei mosaici è straordinariamente uniforme pur nell’evidente
declinarsi delle scuole artistiche; colpisce, nonostante la piattezza
dei fondi oro, il ricorso ad elementi che suggeriscono una profondità
spaziale e un movimento ignoti all’arte bizantina, come
l’ondulazione del terreno e lo svolazzare delle vesti. Molti sono i
particolari realistici, dalle impalcature e gli strumenti per erigere
la torre di Babele, agli animali della creazione del mondo (i pesci
nel mare e gli uccelli, tra cui un gufo con gli occhi spalancati).
Infine Guglielmo, che aveva un seggio nel presbiterio da cui dominava
la basilica, vi si fece rappresentare per ben due volte: vestito
come un Basileus bizantino con una lunga stola ricamata di pietre
preziose e la massiccia corona a pendenti, da un lato è incoronato
da Cristo, dall’altro offre il modello della chiesa alla Vergine.
Probabilmente non aveva dimenticato i conflitti con la diocesi
palermitana e volle in tal modo ricordare agli astanti che il suo
indiscusso potere era sancito solo dall’alto.
La ricchezza di
questo apparato doveva competere con lo splendore dell’arte di
Bisanzio e in particolare con Santa Sofia, la grande e antica chiesa
situata vicino al palazzo imperiale. Monreale era stata progettata
anche per diventare il mausoleo dei re di Sicilia, così quando il
sovrano morì si fece seppellire ai piedi dell’altar maggiore,
facendo sì che l’officiante dovesse inginocchiarsi sulla sua tomba
ogni volta che diceva messa. Il corpo fu in seguito traslato in un
sarcofago rinascimentale, accanto a quello che conteneva le spoglie
del padre.
Fonti:
Bianca
Maria Alfieri, Il duomo di Monreale, Istituto geografico De Agostini,
Novara
Cesare
Marchi, I segreti delle cattedrali, Longanesi & C, Milano