giovedì 9 novembre 2017

La basilica di Monreale tra fede e lotte di potere

“Che ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà fede nel suo Dio, sentirà la pace in cuore”: è questa la frase di tolleranza e buonsenso che, secondo viaggiatore arabo Ibn Jubayr, fu pronunciata nel 1169 da Guglielmo II di Sicilia in occasione di un forte terremoto che colpì Palermo. Piazzato da Dante in Paradiso, questo re normanno apparteneva alla casata degli Altavilla, una dinastia di uomini provenienti dalla Scandinavia – tra loro si chiamavano Vichinghi – che dall’XI secolo erano scesi in Francia, in Inghilterra, in Spagna, e infine nel sud Italia cercando nuove terre e ricchezze. In vent’anni i Normanni riuscirono a strappare il dominio della Sicilia agli arabi facendone un forte stato feudale; inoltre, contrariamente alla pessima fama di pirati e razziatori senza pietà di cui godevano, non distrussero le culture islamiche e bizantine fiorenti nell’isola, ma ne favorirono l’integrazione pacifica apportandovi anche elementi del linguaggio nordico. Prova ne sia che per le strade selciate, pulite e ordinate di Palermo si potevano sentir parlare latino, greco, arabo, ebraico in una fusione di etnie su cui a quei tempi nessuno aveva da ridire, mentre perfino gli atti pubblici erano redatti in tre lingue. 

Diventato re nel 1166 alla verde età di quattordici anni, Guglielmo II ereditò dai suoi antenati uno stato potente e florido, dotato di un efficiente sistema legislativo che veniva messo in pratica da una solerte e capace burocrazia, mentre il lungo periodo di pace aveva permesso anche di garantire una splendida fioritura artistica. Il ragazzo, ambizioso e determinato, non poté tuttavia esercitare alcuna autorità prima di essere diventato maggiorenne; durante questo lasso di tempo rimase sotto la tutela di un precettore inglese, il vescovo Walter of the Mill - italianizzato in Gualtiero Offamilio - che approfittò largamente della sua posizione per accaparrarsi prerogative che appartenevano allo stato. Quando finalmente Guglielmo assunse il potere le tensioni tra i due sfociarono in lotta aperta. Il motivo scatenante fu la decisione del prelato di traslare il corpo di Ruggero II (avo del giovane monarca) dalla cattedrale di Cefalù al duomo di Palermo, città sotto la sua giurisdizione: il sovrano non la prese bene e decise di rispondere costruendo a Monreale un grande complesso monastico benedettino, con annesso palazzo reale, al centro di un vastissimo territorio che fu sottratto alla diocesi palermitana. Guglielmo raccontò poi che quest’idea gli era venuta da un sogno: addormentatosi sotto a un carrubo, gli era apparsa la Madonna che gli aveva consigliato di scavare sotto l’albero perché avrebbe trovato un tesoro in monete d’oro col quale si sarebbe dovuta costruire una cattedrale in suo nome. Verità, leggenda o semplicemente astuzia? Impossibile stabilirlo, ma sta di fatto che nel giro di poco meno di vent’anni le opere murarie erano finite e si poté iniziare l’immane impresa decorativa. Il duomo di Monreale, dedicato a Santa Maria, sarebbe diventata la basilica più bella della Sicilia e simbolo, assieme agli edifici circostanti, dell’azione e del potere normanni in autonomia dalla Chiesa romana.

Adagiato in una splendida posizione nell’anfiteatro della Conca d’oro, l’attuale complesso rappresenta solo una parte del progetto originario che ha subito nel tempo incendi e rimaneggiamenti, al punto che delle costruzioni medievali rimangono solo in piedi la Chiesa e il chiostro del convento. Non conosciamo il nome dell’architetto che – sotto la supervisione del re - si avvalse di una manodopera ben addestrata proveniente da diverse culture ognuna delle quali lasciò la sua impronta stilistica: araba, greca, pugliese, pisana e veneziana. L’idea iniziale fu di erigere un recinto fortificato – ormai scomparso - all’interno del quale si sviluppavano gli edifici conventuali, la basilica e il palazzo reale; una sorta di “fortilizio della fede” testimoniato dalle due torri massicce tuttora esistenti ai lati della facciata del duomo e che se da un lato esprimevano il carattere guerriero della stirpe normanna, dall’altro dovevano servire come difesa da eventuali attacchi in un territorio in cui la componente islamica era ancora molto forte. Il gusto delle maestranze arabe è ben visibile invece nella struttura dell’abside ad archi intrecciati di tipo moresco - sottolineati dalla policromia delle nervature - e nel chiostro con la fontana angolare a forma di palma.
La posizione della basilica non fu scelta a caso, ma – come era d’uso nel medioevo - sulla base di un preciso orientamento astronomico che permetteva ai raggi del sole di illuminare in determinati periodi dell’anno le immagini interne corrispondenti alle ricorrenze del calendario eucaristico, dall' Annunciazione alla Natività, dalla Crocifissione all' Assunzione in cielo. Al sole come simbolo divino si rifacevano anche le decorazioni del tempio a tre navate, ricoperte da un enorme e brillante tappeto di ben 6.340 metri quadrati di mosaici a fondo d’oro; il duomo traduce così l’idea del Cristo come “Luce di luce e sorgente di luce” già formulata secoli prima da Sant’Ambrogio e alla base di tutta l’arte bizantina. Il luccicare delle tessere era assicurato – oltre che dal tipo di materiale usato – dalla loro inclinazione rispetto alla base muraria sottostante, in modo da permettere una diversa rifrazione dei raggi luminosi. Il centro della narrazione musiva è situato nel catino absidale: un gigantesco mezzo busto del Cristo Pantocratore , dal greco “pantokrátōr”, l’Onnipotente, "Colui che domina tutte le cose", con la mano destra benedicente e le braccia aperte ad accogliere l’universo. Sulle pareti delle navate centrali si dispiegano le storie dell’Antico Testamento, dalla “Creazione del mondo” alla “Lotta tra Giacobbe e l’angelo”; su quelle laterali i miracoli e la predicazione di Gesù; le scene evangeliche continuano nel transetto e nella crociera e terminano con “L’Ascensione al cielo” e “La Pentecoste”; a questi riquadri si aggiunge poi una moltitudine di figure isolate: arcangeli, cherubini e serafini, santi e profeti e - nelle cappelle ai lati dell’abside - storie di san Pietro e san Paolo. 

La complessa struttura del ciclo nasce da un impianto teologico che vuole illustrare i dogmi su cui si basa il pensiero cristiano: dalla storia della salvezza, che inizia con il peccato originale e termina con la missione redentrice di Gesù, all’importanza della liturgia con la rappresentazione dei brani evangelici recitati durante le funzioni annuali, alla centralità di Cristo come Verbo, Vita e Luce degli uomini.Lo stile dei mosaici è straordinariamente uniforme pur nell’evidente declinarsi delle scuole artistiche; colpisce, nonostante la piattezza dei fondi oro, il ricorso ad elementi che suggeriscono una profondità spaziale e un movimento ignoti all’arte bizantina, come l’ondulazione del terreno e lo svolazzare delle vesti. Molti sono i particolari realistici, dalle impalcature e gli strumenti per erigere la torre di Babele, agli animali della creazione del mondo (i pesci nel mare e gli uccelli, tra cui un gufo con gli occhi spalancati). Infine Guglielmo, che aveva un seggio nel presbiterio da cui dominava la basilica, vi si fece rappresentare per ben due volte: vestito come un Basileus bizantino con una lunga stola ricamata di pietre preziose e la massiccia corona a pendenti, da un lato è incoronato da Cristo, dall’altro offre il modello della chiesa alla Vergine. Probabilmente non aveva dimenticato i conflitti con la diocesi palermitana e volle in tal modo ricordare agli astanti che il suo indiscusso potere era sancito solo dall’alto. 
La ricchezza di questo apparato doveva competere con lo splendore dell’arte di Bisanzio e in particolare con Santa Sofia, la grande e antica chiesa situata vicino al palazzo imperiale. Monreale era stata progettata anche per diventare il mausoleo dei re di Sicilia, così quando il sovrano morì si fece seppellire ai piedi dell’altar maggiore, facendo sì che l’officiante dovesse inginocchiarsi sulla sua tomba ogni volta che diceva messa. Il corpo fu in seguito traslato in un sarcofago rinascimentale, accanto a quello che conteneva le spoglie del padre. 
Fonti:
Bianca Maria Alfieri, Il duomo di Monreale, Istituto geografico De Agostini, Novara
Cesare Marchi, I segreti delle cattedrali, Longanesi & C, Milano

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